Accesso refertazione online | Login | Non hai un accesso? Richiedilo ora!

Versione Italiano | English Version

Cercasi Far West comodo, magari a San Marino

Avvenire

Turismo procreativo (28 luglio 2005)
Cercasi Far West comodo, magari a San Marino

di Francesca Lozito

Ha un’anima divisa in due: tra quello che è stato, un territorio dove tutto si poteva fare, almeno in economia, e quello che potrà essere, un piccolo Stato che guarda all’Europa come modello. Quindi, prima di tutto all’Italia. Sull’arcata che ti accoglie nella Repubblica di San Marino c’è scritto: «Benvenuti nella terra delle antiche libertà». Una libertà di scelte che possono anche andare controcorrente rispetto all’Italia.

A San Marino, ad esempio, l’aborto è un reato penale e la donna rischia dai cinque ai sette anni. Qualche mese fa, in Commissione sanità, la consigliera di Rifondazione comunista Vanessa Muratori portò il suo progetto di legge sull’aborto. L’hanno bocciato tutti. Tranne lei, naturalmente. Lo scarto rispetto alla legislazione dell’Italia ha riguardato anche la procreazione assistita. Ma qui le cose sono andate diversamente. A settembre del 2004 il Corriere della sera, scrive che San Marino si stava attrezzando per praticare, a partire dall’ottobre dello stesso anno, tecniche di fecondazione in vitro effettuando la diagnosi genetica pre-impianto. A compierle, secondo il quotidiano, sarebbero stati medici italiani tra cui Francesco Fiorentino, direttore del Centro "Genoma" di Roma. Immediata la risposta delle autorità locali: finché non c’è una legge non si fa nulla. A stabilirlo è un ordine del giorno votato a larghissima maggioranza politica.

Intanto, vengono depositati due progetti di legge: uno del luglio 2004, formulato da Pasquale Valentini e Claudio Muccioli del Pdcs, una sorta di riproposizione della Democrazia cristiana italiana. L’altro, che risale a novembre, è opera di una strana alleanza tra Rifondazione comunista e una fetta del Partito democratico, i Ds del Titano. Tra i firmatari c’è anche Fausta Morganti, che oggi è una dei reggenti, i governatori di questo piccolo Stato, che hanno una rotazione di sei mesi. Nel primo progetto troviamo il rispetto della vita fin dal suo concepimento, la proibizione del congelamento e della soppressione degli embrioni, il divieto della selezione pre-impianto ma anche della sperimentazione, della produzione di embrioni soprannumerari e della riduzione embrionaria di gravidanze plurime (articoli 10 e 11). E ancora, all’articolo 4 si parla di procedure di consenso informato, mentre agli articoli 7 e 8 si fa riferimento esplicito a una regolamentazione delle strutture sanitarie che faranno procreazione medicalmente assistita, secondo le norme previste dall’Authority sulle strutture socio-sanitarie, istituzione nata solo nel gennaio di quest’anno. Infine, l’articolo 14 parla chiaramente di obiezione di coscienza «per garantire la libertà morale dei sanitari».

Con l’altra proposta di legge si cambia registro: l’ispirazione dichiarata è quella di «dare priorità alla tutela della salute materna e del nascituro, in pratica alla persona esistente». Poi il valore dell’embrione viene definito «sociale». Di qui nasce, secondo questa ipotesi di legge, la condanna di ogni sfruttamento commerciale e della produzione non strettamente finalizzata a scopi procreativi. Si parla poi di conservazione degli embrioni in soprannumero (articolo 3 comma 4), di possibilità di conservarli per un numero di anni non superiore a cinque (articolo 3 comma 5) e di donazione degli embrioni sovrannumerari a un’altra coppia (articolo 4). Ma anche, con il consenso della coppia, si prevede l’autorizzazione alla donazione di embrioni in più per la ricerca scientifica (articolo 7, comma 2). Un sì deciso si scorge, articolo dopo articolo, a favore della fecondazione eterologa. Questo disegno di legge consente, infine, la diagnosi genetica pre-impianto (articolo 5), mentre restringe il campo della fecondazione a strutture pubbliche (private, solo a condizione che siano accreditate come pubbliche).

«Qui ci vuole un compromesso». Ad affermarlo ora è Massimo Rossini, il segretario di Stato alla sanità. «Aspetto l’ok del Governo – dice – per presentare un mio progetto di legge che si ponga a metà tra questi due». E Rossini non ha perso tempo: nei giorni immediatamente successivi al fallimento del referendum italiano ha presentato il suo progetto. «Realistico» lo definisce e lo riassume per punti: «Fecondazione assistita a carico dello Stato, sì alla diagnosi pre-impianto, sì all’eterologa – anche se, dice, non è un problema fondamentale – trattamenti solo per donne in età fertile». Il progetto ha suscitato un putiferio, nonostante qualcuno in Italia abbia gridato il suo evviva (espresso in un articolo pubblicato dall'Unità, che il 17 giugno ha titolato «Fecondazione, San Marino supera l’Italia»). Nel frattempo i due progetti precedenti stanno seguendo l’iter consiliare e sono fermi in prima lettura al Consiglio grande e generale, il Parlamento sammarinese. Il dubbio ora è: si discuteranno o verranno rinviati a dopo le elezioni, che a San Marino si terranno verosimilmente tra l’inizio e la primavera del 2006? La possibilità di un rinvio sembra essere elevata.

Ma mentre la politica discute, la sanità – quella privata – si sta già attrezzando. E se secondo il segretario di Stato alla sanità «sono poche le richieste di interventi di fecondazione artificiale, meno di una decina all’anno», pare non si voglia stare con le mani in mano fiutando il possibile affare. Per ora, naturalmente, gli operatori stanno ad aspettare, ma hanno già le strutture per mettersi in corsa. A San Marino sono ben 56 i centri di sanità privata, sei dei quali dotati di sale operatorie. Secondo l’Authority per la sanità, nessuna ancora si è fatta avanti chiaramente su questo terreno. Anche perché non sarà impresa facile ottenere l’autorizzazione: una volta votata la legge sulla procreazione, l’Authority farà un’integrazione al decreto regenziale che rende operativo da metà maggio il nuovo regolamento delle strutture sanitarie pubbliche e private. A queste verrà chiesto di presentare una domanda che sarà vagliata da più organismi, e solo alla fine il Congresso di Stato concederà il nulla osta. I requisiti sono quelli più generici, dall’antincendio all’igiene. Ma di certo si tratta di verifiche in più. Intanto, il medesimo Congresso di Stato ha concesso il nulla osta ad alcune società di ricerca su cellule staminali, ma non embrionali.

Ma come vivono questa situazione di attesa della legge le persone che abitano a San Marino e dintorni? Il neo vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro, Luigi Negri, non nutre alcun dubbio: «La difesa della vita – dice – è un dato indiscutibile. L’intangibilità della vita non è solo una colonna portante del magistero ma l’architrave della stessa vita civile». E sul dibattito in corso nel piccolo Stato afferma che «la Chiesa deve chiedere ai politici un’assunzione di responsabilità nel confronto con le altre parti. Magari, come è successo in Italia, non si arriverà alla legge migliore, ma di certo si può raggiungere un accordo per una legge abbastanza buona». Sempre e comunque, dice mons. Negri, «lavorando non per noi ma per l’uomo».

Luca e Giulia sono fidanzati: durante la campagna referendaria sono andati in giro per le parrocchie della diocesi di San Marino-Montefeltro, accompagnati da un’amica che si sta laureando in ostetricia. Sono simpatizzanti del Movimento per la vita, legati alla sezione riminese, «ma presto – dicono – ne apriremo una anche a San Marino». Cosa pensano della futura scelta legislativa sammarinese? «Speriamo – dice lui – che non prevalga la logica del denaro nella scelta della legge sulla fecondazione». Antonio Polselli, coordinatore provinciale riminese del Comitato Scienza & Vita, si dice perplesso di fronte a un possibile far west procreatico riproposto sul Titano: «Mi sembra impossibile che San Marino possa in futuro dotarsi di una legge senza limiti, se non altro per questioni di buon vicinato: la sanità riminese, che tanto ha investito sul centro di fisiopatologia della riproduzione, credo che non apprezzerebbe».
Ma proprio il primario riminese di fisiopatologia, Carlo Bulletti, coltiva un sogno: «Vorrei vedere nascere a San Marino – dice – una "biotech valley"». Naturalmente, per lui che si dice contrario all’attuale legislazione italiana, la legge «alta e forte» sul Titano è quella proposta dalla sinistra. Cosciente però delle scarse possibilità che ha di essere approvata, Bulletti è comunque rispettoso della legislazione attuale: il centro pubblico che dirige a Rimini «ha fatto – afferma – la scelta di lavorare sempre all’interno della coppia, anche prima della legge 40, e di congelare il meno possibile. Per rispetto della sensibilità della comunità locale che deve percepire il miglioramento della condizione umana».

C’è però un dubbio italiano che anche il Titano, quando avrà una legge, dovrà porsi: il percorso che fa giungere una coppia alla decisione di avvalersi di tecniche di procreazione è un inizio o un termine? Perché si possono intraprendere anche strade diverse. Come quella del consultorio di Savignano sul Rubicone, gestito dalla Asl di Cesena, dove le ostetriche insegnano i metodi naturali. Elena Baiocchi, firmataria riminese del Comitato Scienza & Vita, è una di loro: «Chi vuole fare la fecondazione non viene in consultorio. Eppure, della sterilità di molte coppie non si riesce a stabilire il perché. Tentare i metodi naturali è un modo, in linea con la legge 40, per essere meno invasivi».

 

Spauracchio ipocrita

Con questa nota il Movimento per la vita ha risposto al ventilato spauracchio della fuga all’estero di molte coppie, a causa della legge 40: «L’eventuale (poco probabile e poco frequente) "turismo procreatico" non può essere denunciato come sintomo di inadeguatezza della legge italiana. Non manca il "turismo d’impresa" per produrre a prezzi concorrenziali merce in Paesi lontani, dove manca un’adeguata legislazione di protezione sociale. Non manca neppure il "turismo" della droga o il "turismo" sessuale. Eppure nessuno osa dire che le leggi italiane in materia sono inattuabili, perché costringono alcuni cittadini a recarsi all’estero».


Fonte: Avvenire