Ha un’anima divisa in due: tra quello che è stato, un territorio dove
tutto si poteva fare, almeno in economia, e quello che potrà essere, un
piccolo Stato che guarda all’Europa come modello. Quindi, prima di tutto
all’Italia. Sull’arcata che ti accoglie nella Repubblica di San Marino c’è
scritto: «Benvenuti nella terra delle antiche libertà». Una libertà di
scelte che possono anche andare controcorrente rispetto all’Italia.
A San Marino, ad esempio, l’aborto è un reato penale e la donna
rischia dai cinque ai sette anni. Qualche mese fa, in Commissione sanità,
la consigliera di Rifondazione comunista Vanessa Muratori portò il suo
progetto di legge sull’aborto. L’hanno bocciato tutti. Tranne lei,
naturalmente. Lo scarto rispetto alla legislazione dell’Italia ha
riguardato anche la procreazione assistita. Ma qui le cose sono andate
diversamente. A settembre del 2004 il Corriere della sera, scrive
che San Marino si stava attrezzando per praticare, a partire dall’ottobre
dello stesso anno, tecniche di fecondazione in vitro effettuando la
diagnosi genetica pre-impianto. A compierle, secondo il quotidiano,
sarebbero stati medici italiani tra cui Francesco Fiorentino, direttore
del Centro "Genoma" di Roma. Immediata la risposta delle autorità locali:
finché non c’è una legge non si fa nulla. A stabilirlo è un ordine del
giorno votato a larghissima maggioranza politica.
Intanto, vengono depositati due progetti di legge: uno del luglio 2004,
formulato da Pasquale Valentini e Claudio Muccioli del Pdcs, una sorta di
riproposizione della Democrazia cristiana italiana. L’altro, che risale a
novembre, è opera di una strana alleanza tra Rifondazione comunista e una
fetta del Partito democratico, i Ds del Titano. Tra i firmatari c’è anche
Fausta Morganti, che oggi è una dei reggenti, i governatori di questo
piccolo Stato, che hanno una rotazione di sei mesi. Nel primo progetto
troviamo il rispetto della vita fin dal suo concepimento, la proibizione
del congelamento e della soppressione degli embrioni, il divieto della
selezione pre-impianto ma anche della sperimentazione, della produzione di
embrioni soprannumerari e della riduzione embrionaria di gravidanze
plurime (articoli 10 e 11). E ancora, all’articolo 4 si parla di procedure
di consenso informato, mentre agli articoli 7 e 8 si fa riferimento
esplicito a una regolamentazione delle strutture sanitarie che faranno
procreazione medicalmente assistita, secondo le norme previste
dall’Authority sulle strutture socio-sanitarie, istituzione nata solo nel
gennaio di quest’anno. Infine, l’articolo 14 parla chiaramente di
obiezione di coscienza «per garantire la libertà morale dei
sanitari».
Con l’altra proposta di legge si cambia registro:
l’ispirazione dichiarata è quella di «dare priorità alla tutela della
salute materna e del nascituro, in pratica alla persona esistente». Poi il
valore dell’embrione viene definito «sociale». Di qui nasce, secondo
questa ipotesi di legge, la condanna di ogni sfruttamento commerciale e
della produzione non strettamente finalizzata a scopi procreativi. Si
parla poi di conservazione degli embrioni in soprannumero (articolo 3
comma 4), di possibilità di conservarli per un numero di anni non
superiore a cinque (articolo 3 comma 5) e di donazione degli embrioni
sovrannumerari a un’altra coppia (articolo 4). Ma anche, con il consenso
della coppia, si prevede l’autorizzazione alla donazione di embrioni in
più per la ricerca scientifica (articolo 7, comma 2). Un sì deciso si
scorge, articolo dopo articolo, a favore della fecondazione eterologa.
Questo disegno di legge consente, infine, la diagnosi genetica
pre-impianto (articolo 5), mentre restringe il campo della fecondazione a
strutture pubbliche (private, solo a condizione che siano accreditate come
pubbliche).
«Qui ci vuole un compromesso». Ad affermarlo ora è Massimo Rossini, il
segretario di Stato alla sanità. «Aspetto l’ok del Governo – dice – per
presentare un mio progetto di legge che si ponga a metà tra questi due». E
Rossini non ha perso tempo: nei giorni immediatamente successivi al
fallimento del referendum italiano ha presentato il suo progetto.
«Realistico» lo definisce e lo riassume per punti: «Fecondazione assistita
a carico dello Stato, sì alla diagnosi pre-impianto, sì all’eterologa –
anche se, dice, non è un problema fondamentale – trattamenti solo per
donne in età fertile». Il progetto ha suscitato un putiferio, nonostante
qualcuno in Italia abbia gridato il suo evviva (espresso in un articolo
pubblicato dall'Unità, che il 17 giugno ha titolato
«Fecondazione, San Marino supera l’Italia»). Nel frattempo i due progetti
precedenti stanno seguendo l’iter consiliare e sono fermi in prima lettura
al Consiglio grande e generale, il Parlamento sammarinese. Il dubbio ora
è: si discuteranno o verranno rinviati a dopo le elezioni, che a San
Marino si terranno verosimilmente tra l’inizio e la primavera del 2006? La
possibilità di un rinvio sembra essere elevata.
Ma mentre la politica discute, la sanità – quella privata – si sta già
attrezzando. E se secondo il segretario di Stato alla sanità «sono poche
le richieste di interventi di fecondazione artificiale, meno di una decina
all’anno», pare non si voglia stare con le mani in mano fiutando il
possibile affare. Per ora, naturalmente, gli operatori stanno ad
aspettare, ma hanno già le strutture per mettersi in corsa. A San Marino
sono ben 56 i centri di sanità privata, sei dei quali dotati di sale
operatorie. Secondo l’Authority per la sanità, nessuna ancora si è fatta
avanti chiaramente su questo terreno. Anche perché non sarà impresa facile
ottenere l’autorizzazione: una volta votata la legge sulla procreazione,
l’Authority farà un’integrazione al decreto regenziale che rende operativo
da metà maggio il nuovo regolamento delle strutture sanitarie pubbliche e
private. A queste verrà chiesto di presentare una domanda che sarà
vagliata da più organismi, e solo alla fine il Congresso di Stato
concederà il nulla osta. I requisiti sono quelli più generici,
dall’antincendio all’igiene. Ma di certo si tratta di verifiche in più.
Intanto, il medesimo Congresso di Stato ha concesso il nulla osta ad
alcune società di ricerca su cellule staminali, ma non embrionali.
Ma come vivono questa situazione di attesa della legge le persone che
abitano a San Marino e dintorni? Il neo vescovo della diocesi di San
Marino-Montefeltro, Luigi Negri, non nutre alcun dubbio: «La difesa della
vita – dice – è un dato indiscutibile. L’intangibilità della vita non è
solo una colonna portante del magistero ma l’architrave della stessa vita
civile». E sul dibattito in corso nel piccolo Stato afferma che «la Chiesa
deve chiedere ai politici un’assunzione di responsabilità nel confronto
con le altre parti. Magari, come è successo in Italia, non si arriverà
alla legge migliore, ma di certo si può raggiungere un accordo per una
legge abbastanza buona». Sempre e comunque, dice mons. Negri, «lavorando
non per noi ma per l’uomo».
Luca e Giulia sono fidanzati: durante la campagna referendaria sono
andati in giro per le parrocchie della diocesi di San Marino-Montefeltro,
accompagnati da un’amica che si sta laureando in ostetricia. Sono
simpatizzanti del Movimento per la vita, legati alla sezione riminese, «ma
presto – dicono – ne apriremo una anche a San Marino». Cosa pensano della
futura scelta legislativa sammarinese? «Speriamo – dice lui – che non
prevalga la logica del denaro nella scelta della legge sulla
fecondazione». Antonio Polselli, coordinatore provinciale riminese del
Comitato Scienza & Vita, si dice perplesso di fronte a un possibile
far west procreatico riproposto sul Titano: «Mi sembra impossibile che San
Marino possa in futuro dotarsi di una legge senza limiti, se non altro per
questioni di buon vicinato: la sanità riminese, che tanto ha investito sul
centro di fisiopatologia della riproduzione, credo che non
apprezzerebbe».
Ma proprio il primario riminese di fisiopatologia,
Carlo Bulletti, coltiva un sogno: «Vorrei vedere nascere a San Marino –
dice – una "biotech valley"». Naturalmente, per lui che si dice contrario
all’attuale legislazione italiana, la legge «alta e forte» sul Titano è
quella proposta dalla sinistra. Cosciente però delle scarse possibilità
che ha di essere approvata, Bulletti è comunque rispettoso della
legislazione attuale: il centro pubblico che dirige a Rimini «ha fatto –
afferma – la scelta di lavorare sempre all’interno della coppia, anche
prima della legge 40, e di congelare il meno possibile. Per rispetto della
sensibilità della comunità locale che deve percepire il miglioramento
della condizione umana».
C’è però un dubbio italiano che anche il
Titano, quando avrà una legge, dovrà porsi: il percorso che fa giungere
una coppia alla decisione di avvalersi di tecniche di procreazione è un
inizio o un termine? Perché si possono intraprendere anche strade diverse.
Come quella del consultorio di Savignano sul Rubicone, gestito dalla Asl
di Cesena, dove le ostetriche insegnano i metodi naturali. Elena Baiocchi,
firmataria riminese del Comitato Scienza & Vita, è una di loro: «Chi
vuole fare la fecondazione non viene in consultorio. Eppure, della
sterilità di molte coppie non si riesce a stabilire il perché. Tentare i
metodi naturali è un modo, in linea con la legge 40, per essere meno
invasivi».