o scorso settembre in
Italia ha fatto clamore il caso di Luca, il bambino di origine
turca affetto da talassemia che è stato curato con trapianto di
cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale delle sue sorelle
gemelle. La nascita delle due bambine, non affette da talassemia e
istocompatibili con il fratello maggiore, è stata resa possibile dal
ricorso alle tecniche di fecondazione assistita e alla diagnosi
genetica preimpianto. Da 12 embrioni allo stadio di 8 cellule è
stata prelevata una cellula (o blastomero). Queste cellule sono
state sottoposte contemporaneamente ad analisi del DNA per la
ricerca di mutazioni associate alla (Human leukocyte antigen o HLA)
mediante reazione di microsequenziamento (minisequencing); tre
embrioni sono risultati privi della malattia e al tempo stesso
dotati di geni dell’HLA identici a quelli di Luca, e quindi adatti a
evitare reazioni di rigetto nel successivo trapianto
(nota
1). Da questi embrioni, selezionati in Turchia nell’Istanbul
Memorial Hospital da uno degli autori di questo articolo, sono nate
due gemelle, il cui cordone ombelicale è servito per estrarre le
cellule staminali che sono state trapiantate al piccolo Luca al
Policlinico San Matteo di Pavia.
Nonostante lo scalpore suscitato
da questa notizia, la diagnosi genetica preimpianto (PGD) – che
viene eseguita sugli embrioni generati in vitro prima del
trasferimento in utero – è una tecnica che ha quasi 15 anni e si è
ormai affermata come opzione clinica nella medicina riproduttiva.
Pur essendo stata introdotta nel 1990 per diagnosticare solo
malattie genetiche caratterizzate da ereditarietà di tipo mendeliano
– il primo gene testato è stato quello per la fibrosi cistica – il
campo di applicazione è andato via via allargandosi. Attualmente
esistono protocolli diagnostici per oltre 90 malattie monogeniche,
sia autosomiche dominanti sia recessive o legate al cromosoma X.
Patologie genetiche molto diffuse in cui la PGD oggi trova
applicazione comprendono emofilia A e B, distrofia muscolare di
Duchenne-Becker, distrofia miotonica, fibrosi cistica, atrofia
muscolare spinale, sindrome di Lesch-Nyhan, malattia di
Charcot-Marie-Tooth, alfa-1-antitripsina e Xfragile. Nel 1993-1994
l’introduzione dell’analisi con ibridizzazione in situ con sonde
fluorescenti (FISH) per i disordini cromosomici ha fatto sì che il
numero di cicli di PGD raddoppiasse annualmente. Un altro passo in
avanti è stato fatto, a partire dal 1996, quando è diventato
possibile identificare le traslocazioni cromosomiche – alterazioni
in cui un segmento cromosomico cambia posizione – grazie allo
sviluppo di diversi tipi di sonde (dapprima quelle FISH
locus-specifiche, poi quelle subtelomeriche). Chi è portatore di
traslocazioni bilanciate – ovvero anomalie di struttura dei
cromosomi che non comportano perdita né guadagno di materiale
genetico – è perfettamente sano, ma un’alta percentuale dei suoi
gameti può presentare gravi anomalie cromosomiche. Queste persone
hanno una probabilità inferiore alla media di mettere al mondo figli
sani, ma la PGD consente loro di selezionare gli embrioni privi di
pericolose traslocazioni sbilanciate.
Un’ulteriore espansione si
è verificata nel 1999, quando la tecnica è stata applicata per la
prima volta a malattie a insorgenza tardiva, come Alzheimer e tumori
a base genetica. Si può stimare che nel mondo siano stati eseguiti
in tutto oltre 6.000 cicli e che i bambini nati siano almeno un
migliaio. Il tasso di malformazioni congenite di questi bambini, che
in precedenza appariva nell’ordine del 5 o 6 %, non sembra diverso
da quello della popolazione generale. Grazie all’accresciuta
accuratezza dell’analisi genetica e all’allargarsi delle indicazioni
oltre quelle previste per la diagnosi prenatale, il ricorso alla PGD
è in costante crescita. Ogni anno vengono effettuati circa 1.000
cicli in tutto il mondo e negli ultimi due anni le nascite avvenute
dopo PGD hanno quasi eguagliato il numero dei bambini venuti al
mondo allo stesso modo nei primi dieci anni di vita della
tecnica.
Tra i centri più attivi in questo settore, che coprono
circa tre quarti dei casi eseguiti , rientrano il Reproductive
Genetics Institute di Chicago, il Saint Barnabas Medical Center di
West Orange nel New Jersey e il Sismer di Bologna
(nota
2). In questi centri sono stati eseguiti in tutto 4.748 cicli di
PGD, di cui 4.216 riguardanti le alterazioni cromosomiche e 532 per
malattie monogeniche, che hanno portato alla nascita di 754 bambini
e a 207 gravidanze ancora in corso. L’esperienza italiana
naturalmente non si limita al Sismer. Tra i laboratori più attivi
del paese c’è il Centro Genoma di Roma dove, per quanto riguarda le
malattie monogeniche, sono stati eseguiti 197 cicli di PGD per 23
differenti condizioni genetiche, con la nascita di 32 bambini e 12
gravidanze ancora in corso
(nota 3). La PGD ha
consentito a centinaia di coppie ad alto rischio di malattie
genetiche non solo di avere figli sani, ma soprattutto di
raggiungere questo risultato senza correre il rischio di
un’interruzione di gravidanza dopo una diagnosi prenatale
tradizionale effettuata entro le prime 10-16 settimane di gestazione
(amniocentesi e villocentesi). Senza PGD probabilmente sarebbero
nati ben pochi di questi bambini.
L’impatto numerico maggiore
della PGD comunque riguarda le pratiche standard di riproduzione
assistita, dove questa tecnica, che serve per aumentare l’efficienza
della fecondazione in vitro, si appresta a diventare di routine per
le coppie in cui la donna ha un’età superiore ai 37 anni, e quindi
la qualità degli ovociti è in fase di declino fisiologico, oppure
per le coppie in cui le tecnologie convenzionali di riproduzione
assistita non hanno avuto successo. Identificando con l’aiuto di
opportune sonde gli embrioni euploidi, cioè quelli che non
presentano anomalie nel numero dei cromosomi, sembra possibile
superare le limitazioni delle pratiche classiche, che prevedono una
selezione degli embrioni da trasferire in utero soltanto su base
morfologica. Il trasferimento degli embrioni euploidi, che sono
anche i più vitali, consente di aumentare il tasso di successo in
pazienti che avrebbero ben poche chance di portare a termine una
gravidanza con le tecniche classiche.
Nei tre centri più attivi
sono nati 564 bambini in seguito a test per l’aneuploidia e in 3 di
questi casi si è verificato un errore di diagnosi, perciò è
necessario che si continui a lavorare per migliorare l’accuratezza
dell’analisi. I test per le aneuploidie inoltre potrebbero rivelarsi
utili per suddividere in sottogruppi le coppie che hanno già dovuto
affrontare senza successo dei cicli di fecondazione in vitro e
valutare l’opportunità di proseguire o meno con i tentativi
(nota 4). Le coppie che generano almeno due embrioni
euploidi durante il primo ciclo di trattamento possono essere
incoraggiate a continuare, mentre quelle che hanno soltanto embrioni
aneuploidi al primo tentativo hanno la tendenza a ripetere la stessa
performance anche nei trattamenti successivi e quindi dovrebbero
essere assistite nella difficile decisione di rinunciare, oppure
considerare la possibilità di una donazione di gameti dopo aver
effettuato un’analisi cromosomica di ovociti e spermatozoi della
coppia.
In aumento è anche il numero di interventi per creare
donatori di cellule staminali HLA compatibili, come quello che ha
portato alla nascita delle sorelline di Luca. La presenza di geni
HLA identici tra donatore e ricevente infatti è un requisito
indispensabile per far sì che le cellule staminali si insedino e
attecchiscano. Il più grande studio sul trapianto di midollo per le
emoglobinopatie, o malattie ereditarie dovute a errori nella sintesi
dell’emoglobina come talassemia e anemia falciforme, comprende oltre
1.000 pazienti e presenta una percentuale di successi superiore
all’80% per soggetti con età inferiore a 17 anni. Tuttavia a causa
della dimensione ridotta dei nuclei familiari solo un terzo dei
pazienti dispone di una sorella o di un fratello HLA identico. Il 3%
degli esclusi può trovare un donatore con uno o due aplotipi
ancestrali identici utilizzando una ricerca familiare
estesa.
Per gli altri
l’unica possibilità è l’identificazione di un donatore non
imparentato attraverso l’utilizzo di appositi registri nazionali. Il
trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale ha il
potenziale di espandere ulteriormente il pool dei donatori per i
pazienti che non trovano la combinazione genetica giusta in
famiglia. Questo approccio è stato già utilizzato per 2.500 bambini
e oltre 1.000 adulti. Il trapianto di cellule staminali del cordone
ombelicale consente un grado di diversità maggiore dei geni HLA tra
donatore e ricevente, ma la disponibilità di unità che derivano da
un fratello HLA identico offre maggiori garanzie, consentendo
trapianti più precoci e un minor rischio di complicazioni e
mortalità legata al trattamento.
Disporre di un fratello donatore
HLA identico è di particolare utilità per i pazienti affetti da
anemia di Fanconi – una malattia spesso fatale di cui esiste un
cluster in provincia di Benevento – che le cellule del cordone
ombelicale consentono di trattare con successo in oltre l’85% dei
casi. La nascita del primo bambinodonatore, che è avvenuta nel 2000
nel centro di Chicagoa opera di uno dei due autori di questo
articolo, è servita proprio a trattare una bambina affetta da anemia
di Fanconi
(nota 5).
Diagnosi o lotteriaIn precedenza le
coppie con un figlio affetto da questa malattia erano costrette ad
affidarsi alla lotteria genetica della riproduzione naturale,
tentando il concepimento di un altro bambino che fungesse da
donatore e valutando la compatibilità HLA solo a gravidanza avanzata
grazie a villocentesi e amniocentesi. In questo modo sono state
avviate più di 80 gravidanze, di cui una nel 1988 ha portato al
primo trapianto di cellule del cordone ombelicale coronato da
successo
(nota 6). La probabilità teorica di avere un
bambino sano e allo stesso tempo dotato dei geni HLA compatibili
però è soltanto di uno su cinque. Addirittura studi condotti sugli
embrioni hanno evidenziato che la probabilità reale diventa di circa
uno su otto a causa degli eventi di ricombinazione. Molte di queste
famiglie perciò hanno dovuto affrontare gravidanze ripetute,
ritardando il trapianto e rischiando di dover scegliere la dolorosa
strada dell’aborto nel caso in cui i feti fossero risultati malati.
In confronto la diagnosi genetica preimpianto offre vantaggi più che
evidenti, perché consente di testare un numero sufficiente di
embrioni per volta, aumentando le possibilità di trovare quelli con
le caratteristiche adatte per la donazione. Ma soprattutto la PGD
permette di identificare questi embrioni prima che venga avviata una
gravidanza, eliminando il rischio che vengano abortiti i feti che
non risultano HLA compatibili.
La caduta
del divietoUn convegno che recentemente si è svolto a
Cipro ha consentito di fare il punto sulla diffusione di questo
approccio, che tecnicamente viene definito “PGD for HLA matching” o
“Preimplantation HLA matching” ed è già stato applicato in cinque
paesi – Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Belgio e Turchia – ma
è consentito anche in altri come Belgio e Francia. La maggioranza
dei 147 cicli effettuati ha riguardato casi di ßtalassemia e anemia
di Fanconi ma la lista di malattie interessate è lunga ed è
destinata a crescere. Circa l’80% delle coppie si è rivolta ai
centri di Chicago e Istanbul, che hanno già visto nascere 15 bambini
potenziali donatori per i fratelli bisognosi di un trapianto di
midollo osseo
(nota 7). Tra questi casi ce ne sono
anche alcuni per i quali è stato eseguito soltanto il test di
compatibilità HLA, perché l’embrione non era a rischio di malattie
genetiche. I fratelli in attesa di trapianto, infatti, erano affetti
da malattie non ereditarie come leucemia e anemia sporadica di
Diamond-Blackfan. Considerazioni di tipo etico hanno reso più
difficile l’accesso di questi piccoli pazienti ai trapianti
salvavita: nel caso delle malattie ereditarie, infatti, la diagnosi
genetica preimpianto serviva anche per assicurare la salute del
concepito oltre che a garantire l’istocompatibilità per la
donazione, mentre per malattie non ereditarie il nuovo nato non
trarrebbe alcun vantaggio dalla tecnica utilizzata per concepirlo. È
così che nell’aprile del 2003 l’authority britannica – Human
Fertilisation & Embryology Authority – ha dato il via libera per
eseguire la tipizzazione HLA per curare un bambino talassemico,
mentre l’anno prima aveva respinto un’analoga richiesta presentata
dai genitori di un piccolo malato di anemia di Diamond-Blackfan. La
coppia inglese perciò ha dovuto recarsi negli Stati Uniti e il
bambino è in corso di guarigione grazie al trapianto di midollo
osseo donato dal fratellino di un anno
(nota 8). Da
allora però si sono accumulati dati secondo cui i rischi corsi dagli
embrioni durante la biopsia effettuata per eseguire la diagnosi
genetica preimpianto sono minimi e nel luglio di quest’anno
l’authority britannica ha annunciato la caduta del divieto. In
Italia invece la legge 40 sulla fecondazione assistita non solo ha
messo fuori legge il preimplantation HLA matching, spingendo dieci
coppie a rivolgersi in Turchia come hanno fatto i genitori di Luca,
ma ha vietato tutti i tipi di diagnosi genetica preimpianto, per le
coppie a rischio di malattie genetiche, traslocazioni, malattie a
insorgenza tardiva e aneuploidie.
Note
1) Fiorentino F. et al.,
Development and clinical application of a strategy for
preimpiantation genetic diagnosis of single gene disorders combined
with HLA matching, Molecular Human Reproduction Vol 10, N. 6,
pp. 445-460; 2004
2) Verlinsky Y. Et al., Over a decade of
experience with preimplantation genetic diagnosis: a multicenter
report, Fertility and Sterility, Vol. 82, N. 2; 292-294,
2004
3) Fiorentino et al., The minisequencing method: an
alternative strategy for preimplantation genetic diagnosis of single
gene disorders, Molecular Human Reproduction, Vol. 9, N. 7,
pp. 399-410, 2003
4) Ferraretti A. P et al., Prognostic
role of preimplantation genetic diagnosis for aneuploidy in assisted
reproductive technology outcome, Human Reproduction, Vol. 19,
N. 3, pp. 694-699, 2004)
5) Verlinsky et al,
Preimplantation diagnosis for Fanconi anemia combined with HLA
matching, JAMA, vol. 285; 3130-3133, 2001
6)
Gluckman E. et al., Hematopoietic reconstitution in a patient with
Fanconi’s anemia by means of umbilical-cord blood from HLA-identical
sibling, New England Journal of Medicine, Vol. 321, pp.
1174-1178, 1989
7) Kuliev A., Verlinsky Y.,
Preimplantation HLA typing and stem cell transplantation; report of
international meeting, Cyprus, 27- 28 March, 2004, RBM
Online, Vol. 9, N. 2; 205-209, 2004
8) Verlinsky et
al., Preimplantation HLA testing, JAMA, Vol. 291, N. 17;
2079-2085, 2004
Anver Kuliev e Francesco Fiorentino
Anver Kuliev dirige il WHO Collaborating
Center for Prevention of Genetic Disorders al Reproductive Genetics
Institute di Chicago. Francesco Fiorentino è direttore del
Laboratorio Genoma di Roma