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Dovevamo salvare un figlio. Come non capirlo?

CRONACHE
Polemiche su staminali e fecondazione: parla il padre di Luca

 

"Dovevamo salvare un figlio. Come non capirlo?"

 

Ahmet, 32 anni: l’intervento lontano dall’Italia per paura delle nuove norme
«Il ministro non ha un bambino malato che si spegne ogni giorno un po'. Non lo vede consumarsi lentamente, inesorabilmente. Sennò credo che sarebbe favorevole alla selezione degli embrioni pur di salvargli la vita. Sia chiaro: né io né mia moglie abbiamo titolo per criticare lui o chiunque altro. Saremo grati per sempre a chi ha salvato il nostro bambino e a chi ha permesso che questo accadesse. Ma mi si stringe il cuore a pensare ad altri genitori italiani nella nostra condizione...». Tira il fiato un momento, Ahmet. E’ emozionato. Parla al telefono da Ankara, la capitale della Turchia. E in sottofondo si sente il pianto di una bambina: una delle due gemelline avute ad aprile perché salvassero la vita a Luca, il primogenito di Ahmet.

 
Luca ha quattro anni e mezzo e oggi si può dire guarito dalla talassemia,
dopo un intervento eseguito al Policlinico San Matteo di Pavia. Lo hanno salvato grazie al trapianto di cellule staminali donate da sorelline gemelle che, da embrioni, sono stati selezionati proprio perché sani e compatibili con l’impiego del trapianto. Una selezione avvenuta in Turchia, nel laboratorio di genetica di Istanbul, più o meno un anno fa, quando in Italia era ancora possibile la diagnosi pre-impianto. Adesso, invece, con la nuova legge sulla fecondazione assistita, la selezione embrionale nel nostro Paese è vietata: si possono fecondare soltanto 3 ovuli alla volta e i 3 embrioni devono essere impiantati senza analisi preventive, anche se i genitori hanno malattie genetiche che potrebbero avergli trasmesso. «Io non conto niente ma mi sembra davvero un’assurdità» giudica Ahmet, 32 anni. E non può fare a meno di pensare alle coppie che, com’è successo a lui e a sua moglie, farebbero qualsiasi cosa per salvare un figlio malato di anemia mediterranea.

«Non riesco proprio a capire - dice - perché quei genitori, nel loro Paese, non abbiano la possibilità che abbiamo avuto noi per uscire dall’incubo della malattia. Se solo i politici sapessero che cos’è la vita di una famiglia con un bambino talassemico...».
Luca da oggi è fuori dalla camera sterile. E’ rimasto lì dentro con la madre dal 12 agosto, il giorno dell’operazione. Fra qualche settimana tornerà, guarito, nella sua casa di Mantova. «Ma abbiamo deciso che lasceremo l’Italia - anticipa Ahmet -. I genitori di mia moglie hanno anche un’attività imprenditoriale a Mantova. Ma io lavoro e vivo qui in Turchia e adesso che Luca sta bene per noi la cosa più importante è riunire la famiglia. Lo faremo ad Ankara e non a Mantova anche perché a mia moglie scadrà il permesso di soggiorno a fine settembre e, finalmente, dopo più di vent’anni, non dovrà più sopportare l’umiliazione della coda fra gli immigrati clandestini, davanti alla questura».

Ahmet è capitato in Italia per caso. E’ un maresciallo della Nato e quando scoppiò il conflitto nei Balcani fu mandato alla base di Ghedi, nel Bresciano. E’ lì che ha conosciuto la connazionale che poi ha sposato: lei, studentessa universitaria, interruppe gli studi con la gravidanza. Tutto bene fino a quando Luca ha compiuto nove mesi. Poi quella diagnosi: talassemia. «Lo avremmo già voluto con tempi più lunghi, ma per tentare di salvare Luca abbiamo deciso di avere subito un altro figlio per prelevare da lui le cellule staminali che servivano. Ma i medici ci dissero che il secondo bambino, nato a settembre del 2001, non era un donatore compatibile e a noi crollò il mondo addosso».

Così è maturata la scelta della fecondazione assistita e della selezione embrionale: «Sì - conferma Ahmet - non avevamo altre vie d’uscita. Ma farlo in Italia avrebbe aperto le solite polemiche etiche e mediche. Ricordo che alcuni dei medici a cui ci siamo rivolti ci consigliarono di andare in America. Però noi abbiamo scelto Istanbul anche perché lì ci saremmo sentiti più a casa. E poi già un anno fa si parlava di questa nuova legge sulla fecondazione e delle sue restrizioni. Quindi abbiamo preferito non avviare la pratica in Italia per non rischiare un’interruzione a legge approvata».
Da oggi Luca riprenderà a vivere come un bambino qualsiasi. Ahmet e sua moglie lo vedranno crescere senza più temere che la malattia abbia il sopravvento sulle sue poche forze. Le polemiche sul suo caso, questo o quel commento politico, etico, morale: niente potrà scalfire la gioia della mamma e di Ahmet nel saperlo salvo.

Giusi Fasano


8 settembre 2004 -
Fonte: Corriere della Sera 8 settembre 2004