Se la legge 40
vieta la diagnosi pre-impianto, la diagnosi pre-impianto “vieta” la legge 40.
Non è un giro di parole, ma il risultato delle ricerche del Genoma Molecular
Genetics Laboratori, centro romano guidato da Francesco Fiorentino. È loro la
scoperta di una tecnica di fecondazione che “aggira” i limiti della legge: la
diagnosi pre-impianto non viene fatta sull’embrione, ma sull’ovocita, prima che
il concepimento sia avvenuto. E così, da oggi le coppie portatrici di malattie
genetiche potranno evitare il rischio di avere figli malati, senza far
inorridire i difensori dell’etica e della “vita” a tutti i costi.
Di
fatto questa tecnica permetterebbe di selezionare e di utilizzare nei cicli di
fecondazione assistita solo quegli ovociti sani, prodotti dalla madre e di
scartare quelli malati. In questo modo gli embrioni creati nel corso di un ciclo
di fecondazione assistita sarebbero tutti sani e la mamma non rischierebbe poi
di far nascere un bambino malato, o di interrompere la gravidanza dopo analisi
prenatale.
Non si tratta però di pura ricerca. La scoperta ha già la sua
piccola erede: si tratta di una donna, affetta da una grave malattia genetica
neurologica, la sindrome di Charcot Marie Tooth, che è ora incinta di dodici
settimane: la bambina non sembra presentare alcun problema. Una rivoluzione che
non costringerà più a fuggire all’estero chi vuole avere un figlio e
risparmiargli la propria malattia ereditaria. «Ora – ha spiegato Fiorentino – si
potrà evitare questo triste fenomeno di turismo procreativo e anche in Italia
queste persone potranno essere aiutate».
«Turismo procreativo» che non ha
per meta solo paesi “più avanzati” del nostro. Perfino in quella Turchia che in
molti non vogliono in Europa, la diagnosi pre-impianto si può fare. Quasi un
paradosso, come racconta una donna che è andata a Istanbul per sottoporsi alla
fecondazione assistita: «Le donne con il burka possono scegliere, mentre noi
italiane con minigonna e tacchi a spillo non possiamo». «Nel gennaio 2002 –
racconta la donna – ho scoperto di essere portatrice di una malattia genetica.
Quando ho avuto una prima gravidanza il feto è risultato essere malato e ho
abortito, e a chi sostiene che questa sia una strada facile posso dire che non
ci si diverte per niente. Nel 2003 – prosegue – è nata mia figlia, una bambina
sana. Adesso ha cinque anni ed è la mia vita». Ma sull’ipotesi di avere un
secondo figlio, è piombata la legge 40: «Ho provato una grande tristezza –
continua – non sapevo più dove sbattere la testa. Mia figlia diceva: “mamma,
sono così cattiva che non posso avere un fratello?” Così siamo andati a
Istanbul».
La legge 40 ha già ricevuto due “smentite”: una nel settembre
2007, quando il Tribunale di Cagliari ha detto sì alla diagnosi pre-impianto per
una donna, portatrice di talassemia, malattia molto diffusa in Sardegna, l’altra
nel gennaio scorso, dopo che il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di un gruppo
di associazioni, fra le quali Madre Provetta, Amica Cicogna e Warm, annullando
per eccesso di potere le linee guida sulla fecondazione medicalmente assistita.
Nulla però è cambiato, anche se proprio venerdì la ministra della Salute Livia
Turco ha assicurato che le linee guida «sono all'attenzione del Consiglio
superiore della sanità». La scoperta del centro di ricerca romano, comunque,
potrebbe finalmente aprire la strada a nuove tecniche scientifiche, ineccepibili
sotto il profilo etico. Anche perché, come ha egregiamente riassunto la madre
costretta ad andare a Istanbul, «non si tratta di volere figli biondi e con gli
occhi azzurri, ma di volere figli sani».
Infine, in tempi di campagna
elettorale che si combatte anche a colpi di temi eticamente sensibili, la
moratoria sull’aborto patrocinata da Giuliano Ferrara con la sua lista Pro-life,
è arrivata in Europa. Un gruppo di ong europee, capitanato da ArciDonna, ha
infatti portato all’attenzione delle Nazioni Unite una
contro-moratoria. Spetterà ora alla Commissione sullo status
delle donne delle Nazioni Unite decidere se approvarla.