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Nuove linee guida per la legge 40/2004 sulla
fecondazione artificiale: le emette il ministero della
Salute ed è inevitabile la polemica politica. Con
contraddizioni evidenti riguardo ai contenuti stessi
della legge. Il decreto, che aggiorna le precedenti
linee guida del 21 luglio 2004, è stato firmato dal
ministro della Salute Livia Turco lo scorso 11 aprile,
all’indomani del pronunciamento da parte del Comitato di
presidenza del Consiglio superiore di sanità, avvenuto
il 9 aprile. Queste – così come presentate dall’ufficio
stampa dello stesso ministero, le principali novità
delle nuove linee guida: anzitutto “la possibilità di
ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita viene estesa anche alla coppia in cui l’uomo
sia portatore di malattie virali sessualmente
trasmissibili, e in particolare del virus HIV e di
quelli delle Epatiti B e C, riconoscendo che tali
condizioni siano assimilabili ai casi di infertilità per
i quali è concesso il ricorso alla procreazione
assistita”. “In questi casi – si legge nella nota - c’è
infatti un elevato rischio di infezione per la madre e
il feto conseguente a rapporti sessuali non protetti con
il partner sieropositivo: un rischio che, di fatto,
preclude la possibilità di avere un figlio a queste
coppie”. In secondo luogo, “l’indicazione che ogni
centro per la procreazione debba assicurare la presenza
di un adeguato sostegno psicologico alla coppia,
predisponendo la possibilità di una consulenza da parte
di uno psicologo adeguatamente formato nel settore”.
Infine, ciò di cui più si discute, “l’eliminazione dei
commi delle precedenti linee guida che limitavano la
possibilità di indagine a quella di tipo osservazionale,
a seguito delle recenti sentenze di diversi tribunali e
in particolare di quella del TAR Lazio dell’ottobre
2007”. Sentenza che – recita il comunicato del dicastero
guidato da Livia Turco, “ha annullato le linee guida
precedenti proprio in questa parte, ritenendo tale
limite non coerente con quanto disposto dalla legge
40”.
COMMENTI – “Abbiamo dato
una risposta – ha affermato il ministro - a quanti,
operatori e cittadini, richiedevano chiarezza sulla
possibilità di effettuare diagnosi preimpianto,
chiarendo che le linee guida, in quanto tali, non
possono prevedere divieti che non siano già contemplati
nella legge stessa”. “Resterà il divieto – precisa la
Turco - a qualsiasi diagnosi a fini eugenetici così come
previsto dall'articolo 13 della legge 40”. Le
associazioni di pazienti hanno accolto con soddisfazione
la notizia. «Il nuovo testo è in linea con le sentenze
dei Tribunali Civili e del Tar Lazio», osservano
congiuntamente Filomena Gallo, presidente di Amica
Cicogna onlus Monica Soldano, presidente di Madre
Provetta Onlus Laura Pisano, presidente de L'Altra
Cicogna Onlus Federica Casadei, presidente di Cerco un
bimbo Patrizia Battistini. «Noi tutti, però, auspichiamo
la riapertura di un dibattito parlamentare - concludono
le associazioni - responsabile e sereno sulle questioni
più rilevanti della legge 40 nel rispetto della tutela
della salute della donna e del nascituro».
Le
novità introdotte «di fatto stravolgono lo spirito e la
lettera della stessa legge, contrastano l'intento
terapeutico che la legge tentava faticosamente di
conservare, e introducono una chiara impronta
eugenetica», ha invece commentato Adriano Pessina,
direttore del centro di ateneo di Bioetica
dell'università Cattolica. «Un fatto grave» che può
aprire la strada ad «una pericolosa e inaccettabile
deriva eugenetica nella applicazione della legge 40»
sulla procreazione assistita, ha poi aggiunto don
Roberto Colombo, direttore del Dipartimento di genetica
umana alla Cattolica di Milano, e esponente di primo
piano della Chiesa italiana in materia di biotecnologie.
Le nuove linee guida sulla procreazione medicalmente
assistita «rappresentano una buona notizia per i medici
che lavorano negli ospedali pubblici, che potranno
effettuare la diagnosi preimpianto e la fecondazione
assistita, quando il futuro padre sia portatore di
malattie virali sessualmente trasmissibili», sostiene
invece Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil
medici. La nuove linee guida consentiranno al medico «di
poter rispondere con una maggiore etica scientifica alle
richieste delle coppie - continua Cozza - anche se
rimangono diversi vulnus, a partire dall'obbligo di
fertilizzare tre ovociti».
MOVIMENTO PER
LA VITA - Nessun via libera alla diagnosi
preimpianto, che rimane vietata dal testo della legge
40, ma solo la possibilità di effettuare sull"embrione
analisi ulteriori rispetto a quelle puramente
osservazionali, fermo restando il divieto della sua
soppressione. Questo, secondo Carlo Casini, presidente
del Movimento per la vita, il quadro legislativo che
risulta dopo la pubblicazione da parte del ministero
della Salute delle nuove linee guida della legge 40/2004
sulla fecondazione assistita. "Decidere, come ha fatto
il ministro, che si possono fare analisi microscopiche
diverse da quelle osservazionali – spiega Casini - non
vuol dire che si può fare la diagnosi preimpianto, per
il semplice fatto che quest’ultima comporta la
soppressione degli embrioni, che resta vietata dagli
articoli 13 e 14 della legge: significa invece e
semplicemente che – fermo restando il divieto di
soppressione - si possono tentare altri metodi che
vadano oltre la semplice osservazione al microscopio,
come ad esempio l’esame del primo globulo polare, che
non distrugge embrioni e dunque, con le nuove Linee
guida, diventa possibile”. La diagnosi preimpianto –
continua il presidente del Movimento per la vita - “per
come la si è intesa finora comporta inevitabilmente, e
per il solo fatto di essere attuata, la distruzione di
embrioni in numero rilevante, e non solo di quelli
ritenuti malati, ma anche di alcuni fra quelli sani o
fra quelli che semplicemente avanzano: dunque anche con
le nuove linee guida questo genere di intervento –
spiega Casini - resta vietato.
PER
CAPIRE – Il testo della legge 40/2004 non
prescrive il divieto della diagnosi preimpianto, ma
quello della soppressione e sperimentazione
sull’embrione: dunque sono consentiti tutti gli
interventi non invasivi sull’embrione, che non conducono
cioè alla sua distruzione. Restano vietati – almeno in
teoria – tutti gli altri: le vecchie linee guida
consentivano solo l’analisi osservazionale al
microscopio, le nuove eliminano questo limite ma
naturalmente non possono spingersi oltre, fino a
contraddire il testo di legge.
La questione è
però controversa: le Linee guida vietano “la diagnosi
preimpianto con finalità eugenetica”, e sul significato
del termine, verosimilmente, si combatterà una battaglia
di interpretazioni. Lo si nota anche dalle dichiarazioni
rilasciate dal della Società italiana di diagnosi
prenatale Claudio Giorlandino, un deciso critico della
legge 40/2004, a suo tempo sostenitore del referendum
abrogativo. “La legge 40 sulla procreazione medicalmente
assistita, e le precedenti linee guida - spiega –
permettevano la diagnosi sullo stato di salute
dell'embrione avvalendosi esclusivamente di tecniche di
tipo 'osservazionalè: in altri termini, una volta creato
l'embrione in laboratorio, questo poteva essere
osservato al microscopio per verificarne lo stato di
salute, ovvero la vitalità”. Era questo, dice
Giorlandino, l'unico tipo di accertamento permesso. Con
il sì alla diagnosi preimpianto, invece, il quadro -
sottolinea - cambia completamente: “Eseguire una
diagnosi prima dell'impianto in utero significa
prelevare dall'embrione, nel suo stadio iniziale a tre
giorni dalla fertilizzazione avvenuta in laboratorio,
una unica cellula sulla quale vengono eseguiti esami di
tipo genetico e molecolare al fine di rilevare la
presenza di eventuali malattie genetiche o
cromosomiche”.
Per Giorlandino non si tratterebbe
di test “invasivi o pericolosi dal momento che le
cellule prelevate si riformano in un arco di tempo
limitato, e non ci sono pericoli per l'embrione”: una
posizione opposta a quella sostenuta da molti altri
tecnici, che sottolineano invece il gran numero di
embrioni persi in seguito alla diagnosi preimpianto e
dunque il suo carattere distruttivo (dunque vietato a
priori). Con questi esami – spiega ancora Giorlandino –
“da eseguire in centri altamente specializzati”, è
possibile rilevare l'eventuale presenza “di centinaia di
malattie di cui l'embrione può essere portatore, dalla
sindrome di Down alla fibrosi cistica, dal ritardo
mentale a patologie incompatibili con la vita”. Ma – ed
ecco il punto cruciale, come già detto - una volta avuta
la diagnosi, cosa succede? Per il direttore del
Laboratorio Genoma di Roma, Francesco Fiorentino, “si
pone un grosso problema: la legge 40, infatti, proibisce
la diagnosi a fini eugenetici, ovvero di 'selezionè
della specie”. Ma le Linee guida non specificano cosa si
intenda per diagnosi preimpianto e per finalità
eugenetiche, e dunque “il rischio è che molto si lasci
alla libera interpretazione”. Fino ad oggi, le vecchie
linee guida stabilivano che l’impianto dell’embrione non
fosse comunque obbligatorio e che dunque la donna poteva
sempre rifiutarsi di sottoporsi all’impianto. In quel
caso l’embrione andava accompagnato al suo estinguersi,
cioè alla morte naturale. Ora, queste parti sono state
eliminate, con la conseguenza che non vi sono più
specifiche indicazioni su quale strada seguire, anche se
il principio della non coercibilità dell’impianto
chiaramente è destinato a sussistere.
In
definitiva, è plausibile che molti laboratori
riprenderanno le diagnosi preimpianto così come gestite
fino a quattro anni fa, e che si determineranno
differenze a livello di singoli centri in base agli
orientamenti dei medici e degli operatori. Anche se una
interpretazione corretta della legge farebbe propendere
per il mantenimento del divieto di ogni diagnosi
preimpianto a carattere distruttivo.
In tutto
questo, va ricordato anzitutto che il Tar del Lazio ha
chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla
legittimità costituzionale dell’articolo 14, nei commi 2
e 3 della legge 40/2004 nella parte in cui prevede per
il medico la possibilità di produrre un numero di
embrioni non superiore a tre e l'obbligo del
contemporaneo impianto, e che da più parti è stato
chiesto oggi al nuovo governo che si insedierà a breve
di intervenire nuovamente sulle Linee guida per
ripristinare la chiarezza sul no assoluto alla diagnosi
preimpianto.
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