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Il piccolo Luca salvato dalle staminali. E Sirchia polemizza sul referendum

L'UNITA' 06.09.2004
Il piccolo Luca salvato dalle staminali. E Sirchia polemizza sul referendum
di Federico Ungaro

Un trapianto di cellule staminali ha salvato la vita al piccolo Luca, appena 5 anni, affetto da una malattia genetica ereditaria molto grave - la talassemia. L’annuncio, ieri a Milano (ma l’intervento è stato eseguito a Pavia), fa discutere dal punto di vista scientifico: è una assoluta novità per l’Italia. Ma riaccende anche il dibattito politico sulla libertà di ricerca. Il ministro Sirchia, infatti, cavalca l’evento e ridadisce il suo «no» allo studio delle staminali ricavate dagli embrioni umani, che però in potenza sono quelle che potrebbero offrire le prospettive terapeutiche migliori. Come spiega anche Carlo Flamigni, professore di ginecologia dell'Università di Bologna: «Sirchia vuole imporre al paese una sua posizione personale, che non è condivisa da tutto il mondo scientifico».

 

Lungimiranza Ma il ministro tira dritto: il trapianto dimostra l'efficacia delle cellule staminali adulte e di quelle del cordone ombelicale. Chi dice il contrario, che il massimo beneficio delle cellule staminali lo si potrà ottenere da quelle embrionali, «si basa solo sull'ideologia, non sui fatti». «Una volta che nell'animale hanno dimostrato quanto oggi non conosciamo, solo allora a quel punto il dibattito potrà prendere una piega diversa», chiude il ministro.

Paletti alla cieca «Secondo me non si può dire a priori quali cellule siano le migliori - dice il genetista dell'Università di Tor Vergata Giuseppe Novelli -. Bisogna invece guardare a 360 gradi e valutare di volta in volta e per ogni diversa patologia, se sono più utili le cellule embrionali o quelle adulte. Usare i risultati di una sperimentazione per porre dei paletti alla ricerca non mi sembra il modo migliore di procedere».

Talebani della ricerca Sulla stessa lunghezza d'onda il radicale Daniele Capezzone, per il quale l'intervento di Pavia «invita a riflettere: se, con le attuali restrizioni si ottengono comunque “miracoli” come questi, che cosa sarebbe possibile, in pochi anni, anche in Italia, se non fosse in vigore la legge talebana che vieta l'uso delle cellule staminali embrionali?». «La maggioranza degli studiosi - sottolinea Capezzone - è concorde nel dire che, se le staminali adulte (e meno male) possono dare grandi risultati, quelle embrionali (essendo, come dicono, totipotenti) potrebbero garantire esiti addirittura straordinari».

Un nuovo approccio Il trapianto, condotto al Policlinico di Pavia San Matteo lo scorso 12 agosto, è stato il primo in Italia a usare le staminali del cordone ombelicale di due gemellini donatori (i fratelli appena nati di Luca). Ed è stato il primo al mondo con il quale è stato usato un approccio che permette di capire se le cellule «potenziate» in laboratorio di uno dei due gemellini sono state altrettanto efficaci di quelle «naturali», nel dare al piccolo Luca un sangue nuovo.

«La scelta di potenziare (o tecnicamente di espandere in vitro) le cellule staminali di uno dei due gemelli, è stata presa perché erano meno ricche di quelle dell'altro», spiega Franco Locatelli, che ha diretto l'èquipe nel corso dell'intervento, «ma consente anche di dare nuove speranze a chi è già adulto ed è colpito dalla malattia». In effetti, «per i pazienti adulti, o comunque di peso superiore ai 50 chili, al momento non possono usufruire del trapianto con staminali perché hanno bisogno di un numero di cellule di gran lunga superiore a quello che si può avere dal cordone ombelicale e che invece ora si può ottenere con l'espansione in vitro».

Nuova vita Il bambino ora è considerato «guarito»: il sangue del piccolo conta circa 3.700 globuli bianchi, 33 mila piastrine e oltre 60 mila reticolociti, i precursori dei globuli rossi, ma già dopo 16 giorni dall'intervento, cioè una settimana prima rispetto ai tempi previsti, il suo sangue conteneva cellule immunitarie sufficienti a proteggerlo da ogni rischio infettivo. Figlio di due genitori portatori sani di talassemia, era costretto a subire una trasfusione di sangue ogni 15-20 giorni e a indossare un apparecchio elettronico che per 12 ore di seguito gli iniettava sottocute un farmaco salvavita. La madre, lombarda di origine, voleva un altro figlio e quando è rimasta incinta dei due gemelli ha fatto eseguire le analisi per scoprire se erano talassemici.

Dopo quattro mesi, con i risultati delle analisi in mano che dimostravano che erano perfettamente sani, si è rivolta al San Matteo, dove si è deciso per il trapianto delle staminali del cordone ombelicale, in collaborazione con la Cell Factory del Policlinico di Milano, dove le cellule sono state «potenziate».

«È stata una dimostrazione dell'efficacia della sanità pubblica e delle capacità che hanno le strutture di eccellenza se adeguatamente finanziate di portare a termini interventi avanzati», conclude Locatelli.


Fonte: L'Unità 06.09.2004