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La legge 40 aguzza l’ingegno italiano

La legge 40 aguzza l’ingegno italiano
 




Genova Anno VI - n°32 - 30.01.2008 Pagine Nazionali

del 01/03/2008

 

La legge 40 aguzza l’ingegno italiano


Giovanni Andrea Coppola - redazione@clicmedicina.it

Giovanni Andrea Coppola

Giovanni Andrea Coppola

I limiti imposti dalla Legge 40 potrebbero aver aguzzato l’ingegno dei ricercatori italiani che, stanchi di vedere le coppie infertili girovagare per centri esteri per una diagnosi genetica pre-impianto, hanno messo a punto una tecnica di genetica molecolare che permette la diagnosi pre-concepimento di anomalie genetiche di origine materna.


Se la legge vuole che “nessuno tocchi l’embrione” i ricercatori italiani hanno spostato la loro attenzione sull’ovocita non fecondato. La diagnosi genetica pre-concepimento, infatti, non viene eseguita sull’embrione, ma sul gamete femminile prima della sua unione con lo spermatozoo. In questo modo si risolve definitivamente il problema della selezione genetica degli embrioni e dell'eliminazione di embrioni malati.

“La Legge 40 presenta molti aspetti negativi, ma forse un lato positivo è quello di aver dato la possibilità di escogitare delle procedure alternative all’analisi dell’embrione. Forse senza i divieti della Legge non saremmo mai arrivati alla diagnosi pre-concezionale.” Sono le parole di Francesco Fiorentino, biologo molecolare del Laboratorio Menoma di Roma, che da 10 anni lavora in questo campo e che ieri ha presentato i risultati del suo lavoro con una delle casistiche più alte in Europa.
La tecnica è entusiasmante dal punto di vista scientifico e sicuramente viene in appoggio alla Legge 40, fornendo un grande aiuto nel risolvere i problemi di tipo etico legati alla diagnosi pre-impianto.

I ricercatori, però, non nascondono il limite della tecnica e cioè che l’analisi consente di ottenere solo informazioni relative ad anomalie di origine femminile ed è quindi inapplicabile in caso di malattie genetiche autosomiche dominanti di origine maschile. Per questo gli scienziati sono fermamente convinti che le disposizioni della Legge 40 debbano essere comunque riviste a favore di una diagnosi genetica pre-impianto soprattutto per quei casi in cui l’anomalia genetica sia di origine paterna.

Un altro limite che si pone è che questa tecnica di diagnosi pre-concezionale prevede inevitabilmente il ricorso a procedure di Procreazione Medicalmente Assistita che, sempre secondo la Legge 40, sono destinate esclusivamente a quelle coppie che abbiano ricevuto “una diagnosi di sterilità o di infertilità inspiegate o accertate e che siano documentate da atto medico”. Una coppia portatrice di patologie genetiche, come può essere la β-Thalassemia, non è una coppia infertile, ma una coppia ad altissimo rischio di trasmissione della malattia, quindi, secondo la Legge 40, non avrebbe diritto ad accedere a tecniche di PMA. “L’infertilità è un termine in senso lato. Si parla di infertilità quando una coppia non riesce ad ottenere un concepimento dopo un lungo periodo di rapporti non protetti. Siccome non siamo nel letto della coppia, se una coppia dichiara che tenta di avere una gravidanza da oltre un anno senza risultati, noi non abbiamo motivo di non credergli.” spiega il Dott. Fiorentino. “Naturalmente alla luce di queste nuove possibilità che non prevedono la selezione dell’embrione, ma solo dell’ovocita, sarebbe opportuno aggiornare questa Legge permettendo l’accesso alle tecniche di PMA anche alle coppie fertili ma portatrici di anomalie genetiche con rischio elevato rischio di trasmissione.”

 







 
 

  



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Fonte: click Medicina