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Giovanni Andrea
Coppola | |
I limiti imposti dalla
Legge 40 potrebbero aver aguzzato l’ingegno dei ricercatori italiani che,
stanchi di vedere le coppie infertili girovagare per centri esteri per una
diagnosi genetica pre-impianto, hanno messo a punto una tecnica di
genetica molecolare che permette la diagnosi pre-concepimento di anomalie
genetiche di origine materna.
Se la legge vuole che
“nessuno tocchi l’embrione” i ricercatori italiani hanno spostato la loro
attenzione sull’ovocita non fecondato. La diagnosi genetica
pre-concepimento, infatti, non viene eseguita sull’embrione, ma sul gamete
femminile prima della sua unione con lo spermatozoo. In questo modo si
risolve definitivamente il problema della selezione genetica degli
embrioni e dell'eliminazione di embrioni malati.
“La Legge 40
presenta molti aspetti negativi, ma forse un lato positivo è quello di
aver dato la possibilità di escogitare delle procedure alternative
all’analisi dell’embrione. Forse senza i divieti della Legge non saremmo
mai arrivati alla diagnosi pre-concezionale.” Sono le parole di
Francesco Fiorentino, biologo molecolare del Laboratorio Menoma di Roma,
che da 10 anni lavora in questo campo e che ieri ha presentato i risultati
del suo lavoro con una delle casistiche più alte in Europa.
La tecnica
è entusiasmante dal punto di vista scientifico e sicuramente viene in
appoggio alla Legge 40, fornendo un grande aiuto nel risolvere i problemi
di tipo etico legati alla diagnosi pre-impianto.
I ricercatori,
però, non nascondono il limite della tecnica e cioè che l’analisi consente
di ottenere solo informazioni relative ad anomalie di origine femminile ed
è quindi inapplicabile in caso di malattie genetiche autosomiche dominanti
di origine maschile. Per questo gli scienziati sono fermamente convinti
che le disposizioni della Legge 40 debbano essere comunque riviste a
favore di una diagnosi genetica pre-impianto soprattutto per quei casi in
cui l’anomalia genetica sia di origine paterna.
Un altro limite che
si pone è che questa tecnica di diagnosi pre-concezionale prevede
inevitabilmente il ricorso a procedure di Procreazione Medicalmente
Assistita che, sempre secondo la Legge 40, sono destinate esclusivamente a
quelle coppie che abbiano ricevuto “una diagnosi di sterilità o di
infertilità inspiegate o accertate e che siano documentate da atto
medico”. Una coppia portatrice di patologie genetiche, come può essere
la β-Thalassemia, non è una coppia infertile, ma una coppia ad altissimo
rischio di trasmissione della malattia, quindi, secondo la Legge 40, non
avrebbe diritto ad accedere a tecniche di PMA. “L’infertilità è un
termine in senso lato. Si parla di infertilità quando una coppia non
riesce ad ottenere un concepimento dopo un lungo periodo di rapporti non
protetti. Siccome non siamo nel letto della coppia, se una coppia dichiara
che tenta di avere una gravidanza da oltre un anno senza risultati, noi
non abbiamo motivo di non credergli.” spiega il Dott. Fiorentino.
“Naturalmente alla luce di queste nuove possibilità che non prevedono la
selezione dell’embrione, ma solo dell’ovocita, sarebbe opportuno
aggiornare questa Legge permettendo l’accesso alle tecniche di PMA anche
alle coppie fertili ma portatrici di anomalie genetiche con rischio
elevato rischio di trasmissione.”