La via del globulo polare
Una nuova metodica che indaga l'ovocita e non l'embrione sembra poter 
aggirare i divieti della legge 40. Ma si applica a un numero limitato di 
malattie e con risultati che non convincono l'intera comunità 
scientifica 
 
di Monica Soldano
 A 
Roma, l’equipe del centro Genoma di Francesco Fiorentino propone una nuova 
metodica con cui eseguire la diagnosi genetica sull’ovocita, la cosiddetta 
diagnosi di pre-concepimento, che ha permesso a una donna del Lazio, già al 
terzo mese di gravidanza, di scongiurare la trasmissione al feto della sindrome 
di Charcot Marie Tooth, una grave malattia del sistema nervoso periferico.
A 
Roma, l’equipe del centro Genoma di Francesco Fiorentino propone una nuova 
metodica con cui eseguire la diagnosi genetica sull’ovocita, la cosiddetta 
diagnosi di pre-concepimento, che ha permesso a una donna del Lazio, già al 
terzo mese di gravidanza, di scongiurare la trasmissione al feto della sindrome 
di Charcot Marie Tooth, una grave malattia del sistema nervoso periferico.
La nuova applicazione, descritta nella rivista scientifica Prenatal Diagnosis 
(n° 28/2008 p 62), è il proseguimento di alcuni studi, relativi alla diagnosi 
genetica sull’ovocita risalenti agli anni Novanta, quando contemporaneamente e 
con una maggiore efficienza, si predilesse sviluppare la diagnosi genetica 
sull’embrione. Quest’ultima, infatti, è la metodica più diffusa e legalizzata in 
numerosi stati del mondo e in Europa, pur con alcune cautele biomediche e 
bioetiche (come l’aggiornamento periodico della lista delle malattie genetiche a 
cui applicarla); mentre la diagnosi sull’ovocita è da sempre stata considerata 
una strada impervia e poco efficiente.
Tuttavia, in Italia, i vincoli 
legislativi della legge 40, relativi al numero massimo di embrioni da trasferire 
(tre) e, dunque, da produrre, nonché l’obbligo a trasferirli tutti, sani o 
malati,  ha modificato la prospettiva, rendendo la diagnosi genetica 
sull’embrione, laddove ammessa, inutilizzabile.
Il centro Genoma è 
partito da qui. Investendo in questa ricerca, ha realizzato un protocollo di 
diagnosi genetica dell’ovocita, mediante l’analisi del primo globulo polare (la 
struttura che si forma su un polo della cellula uovo adulta e che contiene 23 
cromosomi materni), osservando, questa volta, tempi strettissimi (al massimo 4 
ore). Dopo la diagnosi genetica, segue la tecnica di fecondazione, con iniezione 
dello spermatozoo nel citoplasma dell’ovocita (ICSI) selezionato e  privo 
del gene malato. “Per fare ciò”, ha dichiarato Francesco Fiorentino, “è 
fondamentale uno stretto coordinamento tra il gruppo del laboratorio di 
fecondazione assistita e quello del laboratorio di genetica. Se il primo globulo 
polare dell’ovocita presenta la mutazione  indagata, indicherà che quella 
non sarà presente nell’ovocita e che basterà rimuovere il globulo polare, senza 
incidere sulla cellula madre”. 
Nel globulo polare, tuttavia, si trovano 
solo una parte delle informazioni genetiche, quelle della madre, ed è questa la 
prima obiezione. A cui, il direttore di Genoma, ribatte che, anche qualora lo 
spermatozoo fosse portatore sano della malattia, si eliminerebbe la quota 
trasmissibile attraverso i geni materni,  e dunque si eviterebbe comunque 
il rischio della formazione di un embrione malato e, nel peggiore dei casi, si 
avrebbe un embrione portatore sano di quella mutazione. Tra le malattie incluse, 
la fibrosi cistica e la betatalassemia (monogeniche a trasmissione autosomica 
recessiva),  o le malattie a trasmissione autosomica dominante di origine 
femminile. Restano escluse da questa indagine le traslocazioni cromosomiche 
bilanciate, molto diffuse, la Corea di Huntington e le autosomiche dominanti 
paterne. 
Fiorentino ritiene, con una valutazione retrospettiva, che se 
questa tecnica fosse stata disponibile, si sarebbe potuta applicare con 
successo, negli ultimi 10 anni, al 95, 8 per cento dei casi. Dato che però non 
convince Paolo Gasparini, ordinario di genetica all’Università di Trieste e già 
ricercatore del consorzio Telethon: “L’epidemiologia delle malattie genetiche è 
uno studio complesso, che si basa su diversi parametri: l’incidenza delle 
malattie sulla popolazione di uno specifico territorio e la loro frequenza. Se 
fossimo di fronte ai numeri di cui parla Fiorentino, sarebbe un dato 
rivoluzionario, ma non è così”. 
L’altra questione da valutare sono i 
limiti imposti dalla legge 40. Questa tecnica potrebbe dare risultati 
soprattutto con coppie portatrici di malattie genetiche, ma fertili. Oggi la 
legge 40, permette l’accesso solo alle coppie infertili, pur malate. Inoltre, 
per le donne, che per motivi patologici o di età, producessero pochi ovociti, 
potrebbe non essere applicabile. Cosa ha dunque motivato la ricerca? Fiorentino 
dichiara di voler offrire un’alternativa costruttiva alle coppie costrette oggi 
al turismo procreativo per la diagnosi genetica sull’embrione. “La scelta di 
strade alternative, impervie, nella ricerca scientifica”, commenta Gasparini, “a 
volte può essere preferita a una strada in discesa, ma va combattuta con 
determinazione la logica, da cui un progetto di ricerca, scientificamente 
orientato, non dovrebbe mai partire, ossia quella di  essere orientata a 
monte, dai limiti imposti dalla politica”.