La lotta alla talassemia, l’anemia mediterranea, ha
fatto un grande passo in avanti. Un bambino di cinque anni
sottoposto a trapianto di sangue cordonale (il sangue del cordone
ombelicale ricco di cellule staminali) presso la divisione
Oncoematologica del Policlinico San Matteo di Pavia sta bene, non
ha nemmeno avuto la febbre e i medici sono ottimisti sulla sua
completa guarigione. La divisione è diretta dal professor Franco
Locatelli, che ha coordinato l’intervento.
Il bimbo ha ricevuto le cellule staminali da due gemellini, suoi
fratelli. Le unità di sangue donate sono state dunque due, una
delle quali, la meno ricca di cellule staminali, è stata
manipolata in vitro e sottoposta ad espansione, cioè a una
metodologia che ha moltiplicato il numero delle staminali, nella
Cell factory del Policlinico di Milano. Le cellule espanse si sono
sviluppate bene, consentendo anche di abbreviare i tempi
dell’attecchimento e permettendo dunque di ridurre drasticamente
le complicazioni del trapianto.
All’origine dei problemi del piccolo operato a Pavia c’è
l’anemia mediterranea, un gruppo di disordini genetici
caratterizzati da una ridotta ed errata produzione di emoglobina.
In pratica, il midollo osseo di questi malati non può produrre
emoglobina in quantità sufficiente e da questo consegue una forte
anemia. Il più grave di questi difetti è la talassemia major,
che affliggeva anche il bambino di Pavia. Nella sola Italia,
questa malattia colpisce tra i 5mila e gli 8mila individui, mentre
i portatori sani sono il 7% della popolazione. La cura
tradizionale è rappresentata da continue trasfusioni (ogni 15-20
giorni) per tutta la vita. Ma parallelamemte il talassemico deve
ricevere, in continuazione con un ago sottocutaneo, farmaci che
eliminino l’eccesso di ferro dovuto alle trasfusioni. Il
trapianto di midollo, invece, ha rappresentato finora l’unica
speranza di guarigione: le percentuali di successo sono alte però
solo nell’età compresa tra uno e 16 anni di età del paziente.
Il trapianto, comunque, comporta la distruzione, attraverso un
trattamento chemioterapico, del midollo del ricevente, il che
lascia il paziente per diverso tempo privo di globuli bianchi e
dunque di difese immunitarie. Per il trapianto bisogna inoltre
trovare un donatore compatibile. Cosa che nel 70% dei casi non
accade.
Nel caso del bambino di Pavia il trapianto è avvenuto lo scorso
12 agosto con la donazione di cellule staminali provenienti dal
cordone ombelicale. «Negli ultimi 10 anni — spiega Paolo
Rebulla, direttore del Centro trasfusionale e di immunologia dei
trapianti del Policlinico di Milano e direttore anche della Cell
factory dove sono state trattate le staminali — questi trapianti
di cellule del sangue cordonale sono stati circa 3.500. Si tratta
di una donazione fatta con un’infusione endovenosa di sangue
proveniente dal cordone ombelicale, ognuna delle quali è di
solito di cento centimetri cubici. Le cellule fanno il loro
cammino e "ripopolano" il midollo del ricevente». Ma
questa tecnica standard mostrava la corda, perché in genere la
quantità di sangue non è sufficiente e comunque è efficace
quasi soltanto nei bambini. «Nel tentativo di superare questo
limite — spiega ancora Rebulla — sono stati messi a punto
protocolli per coltivare una parte delle cellule della donazione e
moltiplicarle, anche se il rischio è che maturino troppo e
perdano la loro caratteristica essenziale, quella di essere
appunto staminali. Ma le tecniche finora usate, anche negli Usa,
non hanno dato i risultati sperati».
Nella Cell factory del Policlinico di Milano, invece,
l’espansione è avvenuta con successo, usando una metodologia
messa a punto dalla dottoressa Wanda Piacibello, del Policlinico
di Torino. Poi le staminali espanse (provenienti dalla placenta di
uno dei gemelli) sono state infuse nel piccolo malato insieme a
quelle dell’altro gemello, non manipolate. Questa doppia
donazione è detta combinata. «Il fatto che i due gemellini
fossero eterozigoti — dice Rebulla — ci ha anche permesso di
distinguere le cellule dell’uno e dell’altro e dunque di
"seguire" il decorso dele staminali espanse. Abbiamo così
verificato che hanno attecchito perfettamente insieme alle altre.
Fino ad ora, nelle rare donazioni combinate, invece, si era notato
che solo le cellule della donazione più potente sopravvivevano,
mentre le altre soccombevano». La nuova tecnica usata con
successo nel caso del bambino di Pavia apre ora le porte alla
possibilità di trapiantare con maggior successo anche gli adulti,
moltiplicando in maniera efficace il numero delle staminali da
utilizzare.
7 settembre 2004 |