Lo sapevano ma non hanno voluto dirlo. I medici del San
Matteo di Pavia sapevano che il trapianto di cellule staminali che ha salvato la
vita al piccolo Luca malato di talassemia era stato reso possibile perché le
due sorelle gemelline che hanno dato il «materiale genetico» erano venute al
mondo «sane» grazie alla diagnosi preimpianto e alla selezione degli embrioni.
Non l'hanno detto e hanno glissato di fronte alle specifiche domande dei
giornalisti, probabilmente perché queste due tecniche sono oggi vietate in
Italia dalla legge sulla fecondazione assistita. E anche perché, come ha
ricordato il ministro per le pari opportunità Stefania Prestigiacomo (esponente
di Forza Italia), con la legge attualmente in vigore «quelle gemelline non
sarebbero mai nate e il loro fratellino sarebbe stato condannato a morte». E a
glissare sull'argomento nel corso della conferenza stampa dell'altro ieri era
stato soprattutto il ministro Sirchia, che aveva liquidato il tema con una
battuta sprezzante: «Non mi interesso della vita sessuale degli italiani».
Nebbie da ministro Il sospetto è che invece sapesse, anche perché
come ha ricordato il radicale Daniele Capezzone «o Sirchia non sapeva, ed è un
ematologo e quindi lo avrebbe dovuto sapere dato che è materia sua, quindi è
inaffidabile ed è meglio che si dimetta. O lo sapeva e non l'ha detto e allora
ha mentito, è ugualmente inaffidabile ed è meglio che si dimetta». Sul
ministro che non si interessa ieri si è scatenata una violenta bufera politica.
Oltre all'intervento della Prestigiacomo, che non cita direttamente Sirchia, ma
che comunque sottolinea la necessità di correggere alcuni punti della legge che
avuto come principale sponsor proprio il ministro, si registrano gli strali di
Barbara Pollastrini, coordinatrice delle donne Ds: «Sirchia o non sapeva, ed è
grave, o ha cercato di truccare le carte e ha mentito».
Segreti e bugie Appare dunque tardiva la smentita del dicastero della
Salute, secondo la quale il ministro non era stato informato dal San Matteo del
ricorso a tecniche di fecondazione assistita nel caso del trapianto. E suonano
ben poco convincenti anche i tentativi di giustificazione. Il San Matteo precisa
che le informazioni non sono state date per «rispetto del volere della mamma
del piccolo bambino» e si aggiunge «che la modalità di procreazione non ha
avuto alcuna influenza sul risultato clinico e non si è, pertanto, ritenuto
necessario portarlo a conoscenza delle istituzioni e della stampa».
Affermazioni abbastanza discutibili che si possono smontare pezzo per pezzo.
Come ricorda Francesco Fiorentino, direttore del Centro Genoma di Roma
e autore dell'intervento di fecondazione assistita, la madre di Luca non ha mai
avuto remore a parlare di questo argomento. Poi, se era tutta una questione di
privacy perché non lo si è detto subito invece di trincerarsi dietro battute
di dubbio gusto o acrobazie verbali, a voler essere generosi, al limite della
bugia? Ancora ieri, infatti, Franco Locatelli, autore del trapianto, ha ribadito
che in fin dei conti a lui quanto era successo prima dell'arrivo della madre a
Pavia non interessava e non era una cosa di sua competenza. Importava soltanto
che le due gemelline fossero sane e compatibili per l'intervento. Ma ha ammesso
che sapeva che erano frutto di tecniche di riproduzione assistita eseguite in
Turchia perché la donna era di origine turca.
Versioni Ha detto inoltre di avere incontrato Fiorentino a un
congresso, dove avevano parlato del caso. Anche se ha smentito che sia in corso
una collaborazione tra lui e l'esperto romano. Suona poi strano il fatto che il
San Matteo abbia deciso di tenere all'oscuro Sirchia e le istituzioni su un
aspetto non secondario come l'uso di tecniche di fecondazione assistita a quel
tempo permesse in Italia, ma poi vietate per una legge di cui lo stesso ministro
era stato energico sostenitore.
I conti non tornano Quanto ai risultati clinici, il comunicato
quantomeno è impreciso. Se due genitori sono portatori sani di talassemia, la
probabilità di avere un figlio sano è del 75%. Poi però, come spiega
Fiorentino, «bisogna che questo figlio oltre a essere sano sia anche
compatibile per il trapianto». E questo «fa scendere le probabilità al 18,75%».
Se poi invece di un fratellino donatore, si vuole avere una coppia di gemelli
sani e compatibili allora la probabilità scende al 3%. Insomma, senza la
fecondazione assistita e la diagnosi preimpianto, replicare i risultati del
trapianto eseguito a Pavia risulta quanto meno difficile. A meno che non si vada
all'estero, come del resto stanno facendo molte coppie di italiani. «In
Turchia, al Memorial Hospital di Instanbul, ci sono una quarantina di coppie in
attesa di “figli su misura” e alcune sono anche italiane», dice Fiorentino.
Già perché da noi cercare di salvare un figlio attraverso la fecondazione
assistita è vietato. In Turchia, come in Inghilterra, in Spagna o in Slovenia,
è permesso, anche se costa molto di più e diventa quindi un lusso da ricchi.