Sono arrivate le modifiche alle Linee guida della Legge 40 
sulla fecondazione assistita. Ma i problemi rimangono, e i divieti anche. Così 
c'è chi, a quelle regole, continua a dare battaglia. In nome di una naternità 
altrimenti negata
di Mariateresa Truncellito
Erano scadute a luglio 2007, ma per mesi sono state solo sussurrate tra gli 
addetti ai lavori e richieste a gran voce dalle associazioni di pazienti. A 
sorpresa, alla vigilia della formazione del nuovo governo, il ministro per la 
salute uscente Livia Turco ha firmato le nuove Linee guida della legge 40 sulla 
fecondazione assistita.
Tre i cambiamenti: viene cancellato il divieto di diagnosi preimpianto 
sull’embrione (importante per le coppie affette da una malattia genetica, e già 
dichiarato illegittimo da vari tribunali, come il Tar del Lazio), si permette 
anche alle coppie in cui l’uomo sia affetto e da malattie virali - come Hiv o 
epatite B e C - di accedere alle tecniche di fecondazione assistita (se i 
rapporti non sono protetti c’è un elevato rischio di infezione per la madre e il 
feto, e quindi una sterilità di fatto) e ogni centro di procreazione 
medicalmente assistita (Pma) deve assicurare alla coppia sostegno 
psicologico.
La diagnosi preimpianto, cioè l’analisi di una cellula dell’embrione al terzo 
giorno della fecondazione (quando è costituito da 7-8 cellule) consente alla 
coppia di avere un figlio sano senza dover affrontare la scelta dolorosa di un 
eventuale aborto terapeutico. Il divieto era da sempre tra i punti più 
contestati della normativa. Ma non il solo: gli altri, stabiliti direttamente 
nella legge 40 e perciò intoccati, sono il divieto di produrre più di tre 
embrioni, di congelarli (salvo in caso di gravi problemi di salute della donna 
che impongono il rinvio dell’intervento) e il conseguente obbligo di trasferirli 
tutti nell’utero della madre. Resta anche il divieto di fecondazione eterologa. 
Proibizioni che, nei 4 anni di applicazione della legge, hanno spinto molte 
coppie italiane a cercare una soluzione in centri di fecondazione assistita in 
Paesi esteri con legislazioni meno restrittive.
Vittoria di Pirro
Nonostante l’innegabile passo avanti nella direzione di modificare una legge 
controversa (e sottoposta, nel 2005, a un travagliato referendum) - e, d’altra 
parte, la preoccupazione di chi teme che il suo significato possa essere 
stravolto in senso troppo permissivo - secondo i medici e le associazioni di 
pazienti in realtà non è cambiato granché.
Osserva Andrea Borini, ginecologo del centro Tecnobios di Bologna e 
presidente dell’Osservatorio per il turismo procreativo: «Secondo le società di 
riproduzione assistita internazionali, per la diagnosi preimpianto occorrono 
almeno 6 embrioni. I 3 consentiti dalla legge 40 sono troppo pochi».
Maria Paola Costantini, avvocato dell’associazione Hera per la cura 
dell’infertilità e promotrice della causa di fronte al Tar del Lazio commenta: 
«Sono contenta che la sentenza di illegittimità sia stata accolta dalle Linee 
guida, ma resta l’obbligo di impiantare tutti gli embrioni, malati o no. Secondo 
il Tar del Lazio, questo viola il diritto alla salute della donna: perciò ha 
sollevato la questione di fronte alla Corte costituzionale, che però ancora non 
si è pronunciata. È quindi necessario continuare a fare azioni legali, per 
togliere le incertezze e le contraddizioni della normativa».
Aggiunge Rossella Bertolucci, presidente dell’associazione Sos Infertilità: 
«Si mantiene anche il divieto di indagine a fini eugenetici. Siamo d’accordo, ma 
sarebbe interessante chiarirne una volta per tutte il significato: volere un 
figlio sano è eugenetica? Come associazione di pazienti, continueremo a lavorare 
perché l’apertura delle nuove Linee guida diventi sempre più concreta».
Meno gravidanze, più gemelli
Novità a parte, com’è lo stato dell’arte della fecondazione assistita in 
Italia, dopo quattro anni di applicazione della legge 40? Nel luglio 2007, il 
ministro della Sanità ha pubblicato alcuni dati 
raccolti dal Registro Nazionale per la Pma fino al 2005.
Spiega Paolo Emanuele Levi Setti, responsabile dell’unità operativa di 
Medicina della riproduzione dell’Istituto clinico Humanitas: «C’è stata una 
significativa diminuzione delle gravidanze per prelievi rispetto al 2003, 
passate dal 24,8 per cento al 21,2. In altre parole, su 100 gravidanze ottenute 
nel 2003 prima della Legge 40, ce ne sono state 85,7 nel 2005. Ma la normativa 
penalizza soprattutto coppie con particolari patologie: secondo una nostra 
ricerca, per esempio, nei casi di grave infertilità maschile la probabilità di 
gravidanza è scesa dal 34,3 per cento al 25,4 per cento. Quando si trasferivano 
2 embrioni “selezionati”, la probabilità di gravidanza era del 35,7 per cento, 
mentre ora che la selezione è vietata le gravidanze sono scese al 23,5 per 
cento. In compenso, sono molto cresciute le gravidanze trigemellari, con 
conseguenze sulla salute della donna e del nascituro (complicazioni, parti 
prematuri, nascite sottopeso...): sono il 3,6 per cento in Italia, rispetto 
all’1,1 per cento del resto d’Europa».
Perché? L’impossibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa, di 
congelare embrioni, l'obbligo di usare solo tre ovociti (le cellule femminili, 
per non avere più di tre embrioni) riducono la probabilità di successo 
soprattutto nelle donne più “attempate” (sopra i 38 anni) che, eventualmente, 
devono ripetere più volte i cicli, affrontando di nuovo le stimolazioni con i 
farmaci e vari rischi medico-chirurgici.
«In Italia l’età media delle pazienti in cerca di una gravidanza con tecniche 
di Pma è aumentato», continua Levi Setti. «In Lombardia, poi, è più elevata 
rispetto alla media nazionale ed europea. Circa la metà degli ovociti 
fertilizzati ha un difetto cromosomico, percentuale che nelle donne di età più 
avanzata arriva a oltre l’80 per cento». D’altra parte, nelle pazienti più 
giovani (sotto i 34 anni), il trasferimento di 3 embrioni può risultare 
eccessivo perché è più facile che tutti vadano a buon fine e la gravidanza sia 
multipla.
La cicogna migratoria
L’espressione “turismo procreativo” per chi va all’estero a cercare una 
gravidanza è efficace, ma forse un po’ infelice. Lo fa notare Elisabetta Chelo, 
responsabile del Centro Demetra per la procreazione assistita di Firenze: 
«Nessuno parlerebbe mai di “turismo cardiologico” per chi va in America a farsi 
operare al cuore, mentre lo si accetta per chi cerca di curare l’infertilità, 
per di più obbligato da una legge». Ben 470 coppie passate dal suo centro sono 
emigrate: per la donazione di ovociti o di seme, per aumentare le percentuali di 
successo fecondando tutti gli ovociti e congelando gli embrioni o per diagnosi 
preimpianto.
«I centri esteri si sono organizzati», aggiunge Andrea Borini. «Hanno aperto 
decine di siti web in italiano. Una ricerca dell’Osservatorio per il Turismo 
Procreativo del 2006 ha mostrato che le presenze degli italiani nei maggiori 
centri europei e statunitensi di Pma, una trentina, erano quadruplicate, 
passando dalle 1066 di prima della legge 40, a 4173. Meta preferita la Spagna 
dove, dal 2003 a oggi, i prezzi per le varie tecniche sono quasi raddoppiati, a 
differenza dell’Italia e del resto d’Europa. Ma il fenomeno è in crescita anche 
nei paesi dell’Est dove i costi sono più bassi».
Un boom che tuttavia – nonostante i severi paletti posti dalla legislazione 
italiana - non è sempre giustificato. Secondo gli esperti dei centri di 
procreazione medicalmente assistita italiani, a volte le coppie si rivolgono 
all’estero anche quando avrebbero ottime possibilità qui, nell’illusione di 
ottenere migliori risultati, magari spendendo meno. Questo non è sempre vero, 
anzi.
La difesa dei centri italiani di Pma
«I medici italiani fanno anche – e lo dico senza polemica – il loro 
interesse», avverte Rossella Bartolucci di Sos Infertilità. «I centri privati, 
in particolare, hanno perso molti pazienti e sono insorti contro la 
disinformazione. Noi naturalmente mettiamo al primo posto i bisogni dei 
pazienti, ma siamo d’accordo che, prima di sobbarcarsi il viaggio e mille 
disagi, bisognerebbe almeno sfruttare tutte le possibilità che ci sono nel 
nostro Paese. Così, fecondazione eterologa a parte, noi in genere sconsigliamo 
di andare all’estero al primo tentativo, perché spesso ha solo un valore 
diagnostico».
Secondo Elisabetta Chelo, «Il dibattito all’epoca del referendum ha 
esasperato i toni e, in qualche modo, favorito una cattiva informazione. Non c’è 
dubbio che la legge sia pessima, soprattutto perché costringe la medicina ad 
adeguarsi a dettami di tipo etico, non scientifico. E tutte le coppie che hanno 
bisogno delle tecniche 
vietate, non hanno scelta. Ma molte altre, e sono la maggioranza, possono 
trovare ottima assistenza nei centri di Pma italiani».
Che estero non significhi garanzia di un migliore risultato è l’opinione 
anche di Emanuele Livi Setti: «Confrontando i dati di Humanitas con quelli medi 
del Registro nazionale europeo, prima della legge 40 avevamo il nostro tasso di 
successo per prelievo era il 3,9 per cento sopra la media. I risultati medi 
dell’Austria erano inferiori ai nostri di 10,9 punti percentuali e quelli del 
Belgio di 11,9 punti. Dopo la legge, rispetto alla media europea abbiamo perso 
il 2,1 per cento per prelievo, ma abbiamo sempre un 5,1 per cento in più 
dell’Austria e un 5,5 per cento in più del Belgio».
All’accusa di difendere il proprio interesse, Guglielmo Ragusa, responsabile 
del Centro di riproduzione assistita dell’Ospedale San Paolo di Milano, ribatte 
«Semmai, c’è una fetta di ginecologi italiani che ha da tempo legami con centri 
esteri, e che ha tutto l’interesse a portarvi pazienti. Non dimentichiamo che il 
nostro sistema sanitario pubblico è sempre ai primi 3-4 posti nei rapporti 
dell’Organizzazione mondiale della sanità».
Aggiunge Andrea Borini: «Ci sono tecniche vietate dalla legge 40 che in 
Italia non erano diffuse nemmeno prima della sua approvazione: il congelamento 
degli embrioni, per esempio, era appannaggio di pochi centri e pochissimi 
ottenevano buoni risultati. Senza contare la sopravvalutazione delle reali 
possibilità: ci sono donne di 42-43 anni che vanno all’estero per congelare gli 
embrioni, ma che non producono comunque più di 3-4 ovociti: con prospettive di 
successo così scarse, andare all’estero è solo una perdita di tempo e di 
denaro».
I meriti della Legge 40
Per altro, la tanto vituperata legge 40 ha avuto anche qualche merito. «In 
questi quattro anni sono aumentati i cicli di Pma offerti dalle strutture 
pubbliche o private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale», nota 
Elisabetta Chelo. «In Toscana, per esempio, si sono quasi azzerati i tempi di 
attesa. Altro aspetto positivo è il consenso informato, perché il medico deve 
spiegare tutte le tappe dell’intervento, le possibili ripercussioni e dare le 
percentuali di gravidanze, con una reale trasparenza. Ogni regione ha l’obbligo 
di stabilire i requisiti dei centri, migliorandone gli standard. Infine, è stato 
finalmente introdotto anche in Italia il Registro nazionale della procreazione 
medicalmente assistita, presso l’Isituto superiore di sanità». Il Registro 
censisce tutti i centri autorizzati, raccogliendo dati su quanti cicli vengono 
effettuati in Italia, quali sono le problematiche e le tecniche più utilizzate, 
e gli esiti. Al sito www.iss.it/registronazionalepma 
è disponibile l’elenco dei centri italiani (sono ben 330, di cui 
178 privati) e in futuro sarà possibile consultare i dati liberamente.
Paradossi regionali
Data l’ampiezza dell'offerta, come si sceglie un buon centro? «Non è facile 
orientarsi», risponde Guglielmo Ragusa. «Secondo medie generali, il centro 
dovrebbe avere un tasso di gravidanze, e quindi di cicli andati a buon fine, al 
di sopra del 25-28 per cento. Attenzione, però: se la fetta delle pazienti 
quarantenni è ampia, non è facile avere questi risultati. E ciò accade in tutti 
i centri italiani, pubblici o privati».
Se i centri sono ben distribuiti da nord a sud, quelli pubblici o 
convenzionati sono a macchia di leopardo, con una maggiore concentrazione al 
nord. Anche i costi variano: le tecniche di Pma sono a carico delle Regioni che 
stabiliscono se offrire ai propri residenti un’assistenza gratuita o con 
pagamento di ticket.
Spiega Claudia Livi, Segreteria nazionale di Cecos Italia (Centro studi e 
conservazione ovociti e sperma): «Tutto ciò favorisce una migrazione regionale: 
in Lombardia arrivano persone da tutta Italia perché ci sono molti centri 
pubblici o convenzionati di eccellenza, mentre in Campania ci sono solo centri 
privati. Se il costo medio di un ciclo base per una Fivet (la fecondazione in 
provetta) nel privato è di 3500-4000 euro, le differenze nei ticket sono 
notevoli: in Lombardia i cicli di fecondazione assistita sono gratuiti, in 
Piemonte si paga un superticket di 1000 euro, in Toscana due ticket di 36 euro 
ciascuno, mentre in Lazio i pazienti devono presentare un’impegnativa del medico 
per ogni prestazione (ecografia, prelievo, anestesia...), pagando ogni volta un 
ticket e la somma sale fino a 1800 euro circa».
C’è un ulteriore paradosso. La coppia può ovviamente scegliere un centro in 
una regione diversa dalla propria. Se è pubblico, dovrà sottostare alle liste 
d’attesa. Spiega Claudia Livi: «Invece, i centri privati convenzionati possono 
effettuare solo un certo numero di prestazioni rimborsate dalla regione per i 
propri residenti. Ma se una coppia viene da fuori, sarà la loro regione a 
pagare: in questo caso, quindi, “scavalcherà” la lista d’attesa».
Non è finita. Le Regioni si stanno organizzando anche per mettere un tetto al 
numero dei cicli gratuiti o con ticket: chi vorrà fare altri tentativi dovrà 
pagarli di tasca propria. Racconta Guglielmo Ragusa: «Per ora, solo la Toscana 
ha stabilito un limite massimo di tre cicli al di sotto dei 42 anni, e dei 40 
anni il Trentino. Tuttavia è difficile individuare una donna toscana o trentina 
che vada a fare il quarto o il quinto ciclo in un’altra regione. In Lombardia si 
sta valutando di porre un tetto di 6 cicli fino a 42 anni».
Specializzazioni italiane
Va sottolineato, comunque, che circa il 40 per cento delle coppie abbandona 
dopo il primo tentativo di procreazione medicalmente assistita e il 60 per cento 
dopo il quarto. A parte la perseveranza degli interessati, quali sono, 
attualmente, le reali possibilità offerte dalla medicina italiana nella cornice 
ristretta della Legge 40? «Le difficoltà aguzzano l’ingegno», risponde 
Elisabetta Chelo. «La Pma è in continua evoluzione: migliora l’efficacia delle 
tecniche, la sicurezza, la capacità terapeutica anche nei casi più difficili. 
Non potendo selezionare gli embrioni, in Italia ci siamo specializzati nella 
selezione dei gameti; dato che è vietato congelare gli embrioni abbiamo 
perfezionato – praticamente unici al mondo – la tecnica di congelamento degli 
ovociti e vengono di continuo esplorate nuove vie terapeutiche, per esempio il 
congelamento dell’intero tessuto ovarico».
Il congelamento degli ovociti
Mentre il congelamento degli spermatozoi ha dato buoni risultati, il 
congelamento degli ovociti (i gameti femminili) è un procedimento molto 
discusso: una volta scongelati, spesso risultano danneggiati e i successi in 
termini di gravidanze sono inferiori rispetto a quelli ottenuti col congelamento 
degli embrioni. Perciò, molti la considerano ancora una tecnica 
sperimentale.
Il congelamento degli ovociti è comunque utile (se la paziente ne produce un 
buon numero, non solo due o tre) per evitare di sottoporsi a una nuova 
stimolazione ovarica, per conservare il potenziale riproduttivo di donne che 
devono sottoporsi a chemio o radioterapia per un tumore o in caso di altre 
patologie, come le malattie autoimmuni.
Commenta Andrea Borini: «Attualmente non sono molti i centri italiani che 
utilizzano questa tecnica con buoni risultati. Alla Tecnobios, come in altri 
centri di eccellenza dove la criocoservazione è di routine e viene continuamente 
perfezionata, nelle donne con meno di 35 anni abbiamo percentuali di gravidanza 
intorno al 26-28 per cento, contro il 33-34 per cento che si ottiene con ovociti 
freschi».
Le associazioni di pazienti manifestano un certo scetticismo: «Massimo 
rispetto per i centri che ottengono buoni risultati e che si sforzano di mettere 
a punto la tecnica», dice Rossella Bartolucci di Sos infertilità. «Ma all’estero 
il congelamento degli embrioni è la tecnica di prima scelta. La legge 40 impone 
ai nostri esperti scelte e studi contrari alla direzione in cui sta andando la 
scienza internazionale. Magari in futuro si rivelerà la scelta vincente. Ma in 
questo momento in cui le tecniche non sono ancora così perfette, i pazienti di 
fatto subiscono una sorta di sperimentazione».
La selezione dei gameti
Spiega Andrea Borini: «Si lavora molto anche sui metodi per scegliere ovociti 
e spermatozoi che potrebbero avere la migliore possibilità di impianto: 
osservando le caratteristiche morfologiche dell’ovocita, analizzando le cellule 
del cumulo che gli stanno attorno e fungono da mediatori per tutti i segnali che 
lo portano a maturazione. Ci sono studi che verificano le sequenze geniche (per 
esempio la presenza di Dna frammentato), mentre si usano microscopi ad altissimo 
ingrandimento per valutare la testa degli spermatozoi e le caratteristiche 
cromosomiche e genetiche». Sono settori di ricerca molto affascinanti e, anche 
se molti sono studi ancora solo preliminari, esistono già applicazioni 
cliniche.
La diagnosi preconcepimento
Le nuove Linee guida hanno aperto un piccolo varco per le coppie che devono 
affrontare il rischio di una malattia genetica, eliminando il divieto di 
diagnosi preimpianto sull’embrione. Ma la ricerca italiana non è rimasta ferma 
nemmeno in questo campo.
«Una nuova opportunità è data dalla diagnosi genetica-preconcepimento», 
spiega Francesco Fiorentino, direttore del Laboratorio Genoma di Roma. La nuova 
tecnica è stata applicata con successo su una coppia laziale in cui la donna è 
portatrice di una malattia genetica legata al cromosoma X: in pratica, sono 
stati selezionati gli ovociti in cui era assente l’anomalia genetica, in modo da 
produrre solo tre embrioni sani. «Ciò si è ottenuto eseguendo una biopsia del 
primo globulo polare, espulso dall’ovocita nella fase finale della sua 
maturazione, prima della fertilizzazione in vitro. Si superano così i problemi 
etici che hanno portato al divieto della diagnosi preimpianto e che sono sentiti 
da molte coppie», sottolinea Fiorentino. «La diagnosi preimpianto, infatti, 
comporta comunque l’eliminazione degli embrioni affetti dalla patologia 
genetica. Con la diagnosi pre-concepimento, invece, si esclude a priori la 
possibilità di produrre embrioni malati. Il limite è che non può essere 
applicata a malattie genetiche di origine maschile, ma solo a quelle di origine 
femminile, che però sono la maggioranza».
La via giudiziaria
I due ricorsi presentati al Tar del Lazio che hanno portato alle nuove Linee 
guida e all’abolizione del divieto di diagnosi preimpianto, erano stati 
presentati da una coppia affetta da una malattia genetica.
La battaglia non è affatto conclusa: «Continueremo ad appoggiare le coppie 
che vorranno presentare ricorsi», spiega Rossella Bartolucci di Sos Infertilità. 
«Contro il divieto di fecondare più di tre ovociti, contro l'obbligo di 
trasferire tutti gli embrioni e contro il divieto dei fecondazione eterologa: 
puntiamo a una dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 14 che 
danneggia il diritto delle donne alla salute».
Aggiunge l’avvocato Maria Paola Costantini: «La diagnosi preimpianto consente 
di identificare l'embrione sano o portatore sano della malattia. Ma, dato il 
divieto di congelare embrioni, che si fa con gli altri? Questo ostacolo, di 
fatto, impedisce ai medici di effettuare la diagnosi. Stiamo cercando di 
studiare se è possibile, una volta fatta la diagnosi, indurre il medico a 
effettuare il trasferimento solo dell’embrione sano, sulla base dell’articolo 32 
della Costituzione che vieta i trattamenti sanitari obbligatori. Tra l’altro, 
c’è già stato il caso di una donna che ha diffidato il medico dal 
procedere».
La seconda strada percorsa dagli avvocati è quella di sostenere la richiesta, 
da parte delle coppie, di un rimborso per le spese sostenute all’estero alla 
propria Asl di appartenenza, non avendo potuto usufruire dell’assistenza 
pubblica: «Di fronte al rifiuto, presenteremo ricorso al giudice», spiega 
Costantini. «La terza strada, infine, consisterà nel portare tutta la questione 
della fecondazione assistita in Italia di fronte alla Corte per i diritti 
dell’uomo di Strasburgo».
Dove rivolgersi per i ricorsi
Le associazioni Sos Infertilità 
e Hera di Catania sostengono le coppie che 
vogliano effettuare ricorsi contro alcuni punti della Legge 40: per esempio, 
portatori di alterazioni genetiche o cromosomiche gravi, come fibrosi cistica, 
talassemia, drepanocitosi; coppie che, in base a parere medico, trarrebbero 
vantaggio dal poter creare più dei 3 embrioni permessi dalla legge, dal 
crioconservarli o dal trasferire meno dei 3 embrioni eventualmente ottenuti; 
coppie in cui uno o entrambi siano completamente sterili e la cui unica 
possibilità sia ricorrere alla donazione di gameti o di embrioni; coppie che, 
avendo sostenuto spese mediche per Pma all’estero per i divieti della Legge 40, 
desiderano chiedere il risarcimento danni.
Le associazioni forniscono indicazioni sulla documentazione necessaria (dati 
anagrafici, certificati, cartelle cliniche, relazione di uno psicologo... ) e il 
modulo per conferire mandato agli avvocati per l’azione legale. In pratica, si 
tratta di un’azione ordinaria rivolta al Tribunale civile, sezione famiglia, al 
quale si chiede un provvedimento d’urgenza (specifico per il problema della 
coppia, per esempio la crioconservazione di embrioni che risultino malati alla 
diagnosi preimpianto, il trasferimento nell’utero solo degli embrioni sani) e di 
sollevare la questione di legittimità della legge davanti alla Corte 
costituzionale.
Nel caso della richiesta di risarcimento ci si rivolge al Tar. La controparte 
è il Centro medico cui si rivolge la causa per effettuare la fecondazione in 
vitro. Il costo del ricorso è di circa 600 euro per le spese vive (avvocati e 
consulenti medici lavorano gratuitamente).
 
I numeri della Legge 40
Secondo dati sull’effetto della Legge 40 resi noti nel 2007 dal Ministero 
della sanità, le gravidanze su prelievo sono diminuite dal 24,8% del 2003 al 
21,2% del 2005.
La percentuale dei parti plurimi è aumentata dal 22,7% al 24,3% e sono 
aumentate dal 23,4% al 26,4% le gravidanze con esito negativo (aborti spontanei 
o terapeutici, morti intrauterine, gravidanze ectopiche).
Secondo i dati del Registro Nazionale delle Pma relativi al 2005, 43.034 
coppie sono state trattate con tecniche di inseminazione semplice e di 
fecondazione assistita.
Le gravidanze ottenute con tecniche di inseminazione semplice sono state 
2.805; 6.243 quelle con tecniche di fecondazione assistita a fresco, 451 con 
tecniche di scongelamento.
Nel 35,4% delle coppie la causa di infertilità era da attribuire al maschio, 
nel 15% a entrambi i partner e nel 35,4% alla donna. Oltre il 13% dei casi 
soffriva di infertilità idiopatica, cioè con causa sconosciuta.
 
Quando andare all'estero
Premesso che è bene rivolgersi a Paesi in cui esista una legge che disciplina 
la fecondazione assistita, ci sono coppie che per le quali, purtroppo, l’estero 
rappresenta la sola soluzione o quella da cui potrebbero trarre maggiori 
vantaggi (da valutare caso per caso).
  - Chi ha bisogno di fecondazione eterologa, con donazione di spermatozoi o 
  ovociti (donne sopra i 40 anni che rispondono poco alla stimolazione ovarica, 
  donne con l’apparato riproduttivo compromesso da una radio o chemioterapia, da 
  patologie o da menopausa precoce...). 
  
- Coppie portatrici di patologie genetiche e necessità di diagnosi 
  preimpianto (almeno finché la situazione italiana non si chiarisce). 
  
- Uomini con azospermia, oligoastenospermia (assenza o ridotta quantità di 
  spermatozoi nel liquido seminale), Dna frammentato, difetti di sviluppo, 
  problemi affrontabili solo con un prelievo testicolare di spermatozoi, per 
  aumentare le chance di riuscita di questo intervento invasivo e che ottiene 
  comunque spermatozoi a ridotta capacità fecondativa. 
  
- Donne sopra i 38 anni che producano molti ovociti (8-12 e oltre), per 
  aumentare le chance di gravidanza, utilizzando il maggior numero di ovociti 
  possibile, senza sottostare al limite di tre previsto in Italia. 
La Pma in Italia
I centri italiani di procreazione medicalmente assistita sono 330, con una 
buona distribuzione sul territorio da nord a sud. 152 centri sono pubblici o 
privati convenzionati col Sistema Sanitario Nazionale (ma in questo caso la 
distribuzione varia molto da regione a regione e il nord è favorito), 178 sono 
privati.
C’è anche un gran numero di strutture piccole o molto piccole (con 50 
pazienti all’anno), soprattutto al sud.
I centri di primo livello offrono le tecniche meno sofisticate, per lo più il 
semplice inserimento di liquido seminale nella cavità uterina; quelli di secondo 
e terzo livello (insieme il 60 per cento del totale) utilizzano invece tecniche 
più complesse e impegnative.
L’Osservatorio Donna della provincia di Milano offre una prima consulenza 
gratuita per i problemi di infertilità, in collaborazione con gli esperti 
dell’Associazione Sos Infertilità. Per essere messi in contato con l’esperto, 
basta chiamare il numero verde 800.097.999 il martedì e il giovedì dalle 14 alle 
16.
 
Storie di coppie che hanno scelto l'estero
Grazie Turchia
Nostra figlia è finalmente con noi. Cioè, è ancora “dentro” di noi, nella mia 
pancia, ma - naturalmente lo dico toccando ferro - tra un mese dovremmo 
finalmente conoscerla.
Per molti, fortunati loro, avere un figlio è un risultato scontato. Per noi, 
io Francesca, “profia” come dicono i miei allievi di latino e italiano, e il mio 
compagno Giovanni, grafico, non è stato così.
Vivevamo insieme da tre anni e sentivamo che era arrivato il momento giusto 
per allargare la famiglia. Avevo 32 anni quando abbiamo deciso di non prendere 
più precauzioni, lui 38.
Immediatamente, al primo mese, rimango incinta. Il test positivo, le nausee, 
la prima ecografia, il cuoricino che ancora sento battere.
La seconda ecografia. Niente più cuore che batte. Aborto interno. A 12 
settimane. I medici analizzano il feto: trisomia 22, un problema cromosomico. 
Una casualità, dicono. È stato un colpo durissimo, ma mi fido dei medici, una 
casualità.
La seconda gravidanza, forse per lo stress dell’aborto, arriva dopo 6 mesi di 
ricerca, attenendoci rigorosamente alle istruzioni del caso: giorni sì, 
posizioni, orari, temperature. Tutto pare andare bene, il bimbo cresce.
Vista la precedente esperienza, però, il ginecologo mi consiglia di 
sottopormi a una diagnosi prenatale. Procedo con un’amniocentesi. La doccia 
fredda questa volta ha un altro nome: sindrome di Turner, un problema che 
potrebbe rendere estremamente difficile la vita della bambina.
Con la morte nel cuore, prendo la decisione più difficile, un aborto a 20 
settimane. È durissima, cado in depressione. E gli anni passano.
Altre due gravidanze arrivano e se ne vanno, da sole, sempre per problemi 
cromosomici. Il terrore degli aborti è tale che subentra anche un blocco 
psicofisico che mi impedisce di rimanere incinta. Penso, temo che non sarò mai 
madre. Seguo anche una terapia psicologica.
Finalmente un ginecologo mi parla di una possibilità che forse potrebbe 
aiutarmi: intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita, con 
la diagnosi preimpianto sull’embrione. Mi spiega che però in Italia non posso 
farla, c’è una legge che la vieta. Ma come, mi dico, una legge vieta di far 
nascere dei bambini?
Mi informo con le associazioni di pazienti, e scopro che in Turchia 
(incredibile!) c’è un centro eccellente dove possono aiutarmi, analizzare i 
cromosomi dei miei embrioni e trasferire nel mio utero solo quelli senza 
anomalie cromosomiche, per porre fine alla lunga serie di aborti che mi hanno 
devastata, che hanno devastato la nostra vita.
Due tentativi, 10.000 euro l’uno, considerando viaggio, alloggio e tutte le 
spese mediche. Abbiamo chiesto un prestito, abbiamo rinunciato alle vacanze, ma 
adesso nostra figlia è con noi. Grazie alla legge turca sulla Pma.
Due pesti venute dal freddo
Mi chiamo Gianna. Io e mio marito, Marco, siamo entrambi impiegati e viviamo 
in una città dell’Italia centrale. La nostra storia non ha niente di speciale, 
credo, è simile a quella di tante coppie che hanno problemi di concepimento.
Grave oligoastenospermia è la brutta parola che ci dice che molto 
difficilmente potremo avere dei figli. Quantomeno “alla vecchia maniera”. È 
molto dura dover accettare che, se arriveranno, i miei bambini arriveranno dal 
freddo di un laboratorio.
È dura anche perché noi siamo molto credenti e la Chiesa non approva la 
fecondazione assistita. Leggo, rifletto molto, conosco, attraverso internet e le 
associazioni, altre ragazze nelle mie condizioni, con un marito sterile e la 
provetta come unica speranza. E non capisco il perché degli anatemi della Chiesa 
contro chi vuole solo farsi una famiglia, di quelle che la Chiesa stessa 
raccomanda.
Quindi, superata la crisi di coscienza, convinta di agire bene, inizio il mio 
iter di fecondazione assistita. Iter che si complica subito perché le mie ovaie 
non obbediscono alla legge.
Nonostante i medici usino dosaggi bassi di ormoni, e a dispetto dei miei 38 
anni, a ogni tentativo produco oltre 10 ovociti. Nel centro dove mi curo 
congelano gli ovociti, unica tecnica permessa dalla Legge italiana, anche se le 
percentuali di successo sono molto basse. Nella mia regione ci sono pochi 
centri, e nessuno di eccellenza. Nemmeno questo. Ma sono cose che si scoprono 
strada facendo.
Ed eccomi già a 39 anni, con 3 fallimenti alle spalle, siringhe su siringhe 
di ormoni e poche speranze. Le amiche mi dicono che dovrei andare all’estero. Ma 
dove e, soprattutto, con quali soldi? Sul dove, decido per Bruxelles. Sui soldi, 
rinunciamo alle vacanze. Anzi, le facciamo proprio a Bruxelles, tra un’ecografia 
e una sedazione profonda e una visita alla Grande Place: una coppia di veri 
turisti procreativi, come amano definirci.
Primo tentativo belga: 10 ovociti prodotti, l’inseminazione viene tentata su 
tutti, gli embrioni sono 5. Me ne trasferiscono solo 2, anche se non sono 
giovanissima, perché sono molto “belli” cioè con grandi probabilità di 
attecchire e crescere e... diventare bambini. Gli altri 3, altrettanto “belli”, 
vengono congelati.
E meno male! Infatti, i primi due non ce la fanno, niente, neanche Bruxelles 
con i suoi medici magici e la sua legge serena mi ha aiutato. Sono davvero giù, 
vedo nero.
Dopo 4 mesi, assolutamente senza crederci, tento il transfer dei congelati, 
me ne trasferiscono solo due, perché qui fanno il possibile per evitare le 
temibili gravidanze trigemine. Sono ormai troppo ferita dai fallimenti, ho paura 
di crederci. Ma, invece, quei due embrioncini venuti dal freddo ce la fanno: 
test positivo e due cuoricini che battono! Due maschietti, nati un mese fa, un 
gran lavoro, una gioia immensa. E l’ultimo di quei 5 embrioni mi aspetta. Io lo 
aspetto, non appena Niccolò e Pietro mi daranno un po’ di respiro.
L’amore non è un crimine
Ho 36 anni, mi chiamo Laura e sono psicologa. Mio marito ne ha quasi 37 ed è 
responsabile degli acquisti per un’azienda lombarda. Siamo sposati da 6 anni, e 
abbiamo cominciato a cercare un figlio quasi subito. Un paio d’anni di tentativi 
a vuoto mi hanno spinto verso una clinica milanese con un reparto maternità 
all’avanguardia. Il problema, di mio marito, è emerso subito: criptozoospermia, 
un numero tanto basso di spermatozoi da non poter essere neppure contato. Vivi, 
ma immobili.
La fecondazione omologa, con quel seme povero e pigro, sarebbe stata una 
perdita di tempo. Tentammo lo stesso. Io pensavo di doverglielo, a Stefano: si 
sentiva colpevole. Ma non è una colpa nascere sterile, così come non è un merito 
avere gli occhi azzurri. Niente da fare.
L’unica strada percorribile era la fecondazione eterologa. Senza bisogno di 
tecniche sofisticate, una banale inseminazione.
Banale... Abbiamo passato notti intere a parlarne, per superare dubbi e 
paure. La più reticente ero io: temevo che Stefano potesse non sentire questo 
figlio veramente suo. Ma in quel caso il vero psicologo è stato lui: lui voleva 
un figlio non “per me”, ma “con me”. Un figlio da crescere, non qualcuno cui 
dare un gene.
Mio padre ha 70 anni. Quando gli ho spiegato che avrei potuto renderlo nonno 
solo con l’aiuto di un donatore, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: «È 
una straordinaria opportunità. Non perderla».
Per sentirmi meno sola, ho cominciato a navigare in Internet, e ho scoperto 
le associazioni, il loro aiuto alle coppie che devono fronteggiare la sterilità, 
un argomento tabù. Noi abbiamo molti amici senza figli, come me e mio marito. Ma 
non ho la più pallida idea se sia per scelta o per forza. Nell’associazione 
abbiamo sentito parlare del centro svizzero al quale ci siamo rivolti: ottima 
fama, e vicino a Milano. Senza problemi di lingua e senza dover affrontare spese 
di viaggio o di albergo, che avrebbero aggravato quelle mediche. Perché quello 
di diventare genitori per molte coppie non è un diritto, ma un sogno. E i sogni, 
si sa, costano.
Altri, interminabili, esami. Ma che felicità quando mi sono scoperta incinta! 
È durata poco: dopo qualche settimana, la gravidanza si è interrotta. Siamo 
precipitati in un baratro, dal quale è stato molto faticoso risalire.
Come ci ha consigliato il medico, ci abbiamo riprovato subito, ma la seconda 
volta non è successo nulla. Però il fatto che la tecnica avesse funzionato ci ha 
lasciato speranzosi: vogliamo credere che sia solo questione di tempo. Oggi sono 
al terzo tentativo, aspetto l’esito a momenti. Cosa penso della Legge 40?
Che è un atto di incompetenza, perché fatta per ragioni politiche, al di 
fuori di ogni ragione medica. Che mi ha privato del diritto alle cure per una 
malattia. E che è un atto di ipocrisia: i bambini italiani che vengono dalla 
fecondazione eterologa non hanno mai smesso di nascere, perché i loro papà e 
mamme non hanno mai smesso di desiderarli. Senza sentirsi per questo dei 
criminali. L’amore non è mai fuori legge.
 
da «Elle» (Hachette Rusconi), luglio 2008
(versione 
integrale)