LA VARIABILITA' INTER-INDIVIDUALE NELLA RISPOTA AI FARMACI
La variabilità nella risposta al trattamento farmacologico tra paziente e
paziente costituisce da sempre uno dei problemi più rilevanti nella pratica
clinica. Le risposte individuali ai farmaci, infatti, variano molto: si possono,
infatti, osservare in alcuni pazienti rispetto ad altri, effetti terapeutici
ridotti o addirittura assenti, reazioni avverse o effetti collaterali,
nonostante sia stato somministrato lo stesso farmaco alla stessa posologia.
Questa variabilità inter-individuale veniva, nel passato, attribuita
principalmente all’influenza di fattori non genetici come ad esempio l’età, il
sesso, lo stato nutrizionale, quello di funzionalità renale ed epatica, le
abitudini di vita con particolare riferimento alla dieta e all’abuso di alcool e
fumo, la concomitante assunzione di altri farmaci o la presenza di comorbidità.
Attualmente si ritiene che, oltre ai fattori sopra menzionati, giochino un ruolo
importante nella risposta individuale ai farmaci anche quelli ereditari.
Response rates of patients to a major drug for a selected group of therapeutic
areas.
Risultati di studi su gemelli monozigotici e dizigotici suggeriscono che, per
taluni farmaci soggetti a intenso metabolismo, i fattori genetici esercitano un
ruolo importante nel determinare la variabilità farmacocinetica e
farmacodinamica. Le conseguenze cliniche della variabilità interindividuale
nella risposta al trattamento farmacologico possono essere quindi rappresentate
dal fallimento terapeutico (mancata o solo parziale efficacia della terapia), da
effetti collaterali di un determinato principio attivo o da reazioni avverse
anche gravi e talvolta fatali.
REAZIONI AVVERSE AI FARMACI
Ogni effetto non desiderato, che scaturisce dall’utilizzo di un farmaco a scopo
profilattico, diagnostico o terapeutico viene considerato reazione avversa
(Adverse Drug Reactions, ADR)”. Le ADR comprendono un'ampia varietà di reazioni
farmacologiche di tipo tossico che si verificano durante il trattamento.
Qualsiasi farmaco può essere causa di ADR, tali reazioni, in alcuni casi possono
portare a morte il paziente. Una stima dell’incidenza di tali reazioni, secondo
studi eseguiti negli Stati Uniti, mette in evidenza che il 5% degli adulti sono
allergici ad almeno un farmaco, che il 30% dei farmaci utilizzati durante un
ricovero provoca una ADR, che il 3% di tutti i ricoveri ospedalieri è provocato
da una ADR e che il rischio di una reazione allergica varia approssimativamente
dall’1”“3% per la maggior parte dei farmaci.
L’incidenza di reazioni avverse gravi nei pazienti ricoverati risulta del 6,7 %,
e del 15,1 % quando si considerano anche le reazioni meno gravi. Le reazioni
avverse gravi rappresentavano la sesta causa di morte, venendo subito dopo i
disturbi cardiovascolari, i tumori maligni, i disturbi polmonari e gli
incidenti. Gli analgesici sembrano essere i farmaci chiamati maggiormente in
causa nel provocare una ADR (29%) seguiti da sedativi (10%), antibiotici (9%) e
antipsicotici (7%). Le complicazioni più frequentemente riscontrate sono state
le reazioni allergiche, nel 7% dei pazienti, e quelle cardiovascolari, nel 16 %
dei pazienti. Osservando questi dati, probabilmente sovrapponibili a quelli di
altri paesi, la prima riflessione da fare è che le ADR rappresentano vere e
proprie “patologie farmaco indotte” che pongono un problema di diagnosi
differenziale molto impegnativa.
NEI GENI LA CHIAVE DELLA DIVERSITA'
La farmacogenetica nasce intorno agli anni cinquanta quando i ricercatori
cominciarono a pensare che anche la risposta ai farmaci potesse essere regolata,
almeno in parte, dai geni e che la variabilità di reazione a un certo principio
attivo da parte di individui diversi non fosse altro che il riflesso delle
differenze genetiche.
La farmacogenetica studia le variazioni inter-individuali nella sequenza del DNA
in relazione alla risposta ai farmaci. L'applicazione pratica delle conoscenze,
provenienti dalla ricerca in farmacogenetica, consiste nella possibilità di
predire la risposta di un paziente ad un certo farmaco sulla base di un test
genetico di routine, per arrivare ad un’individualizzazione della terapia, "il
farmaco giusto al paziente giusto".
I test del DNA, basati su queste variazioni genetiche, possono predire come un
paziente risponderà a quel particolare farmaco. I clinici potranno utilizzare
questa informazione per decidere la terapia ottimale e per personalizzare il
dosaggio; i benefici consisteranno in una ridotta incidenza di reazioni avverse,
in migliori esiti clinici ed in costi ridotti. Questi test rappresentano il
primo passo verso terapie paziente-specifiche.
Con i test di farmacogenetica è possibile identificare molte variazioni nella
struttura dei geni che codificano per enzimi del metabolismo dei farmaci, per
proteine trasportatrici o proteine bersaglio (recettori, canali ionici, enzimi)
di farmaci e correlarle alle variazioni inter-individuali nella risposta agli
xenobiotici, individuando vari fattori genetici predittivi della tossicità e
della risposta terapeutica al trattamento farmacologico. Un paziente con un
metabolismo rapido, per esempio, può richiedere dosi più elevate e più frequenti
per raggiungere le concentrazioni terapeutiche; invece un paziente con un
metabolismo lento può avere bisogno di dosi più basse e meno frequenti per
evitare la tossicità, specialmente nel caso di farmaci con un ristretto margine
di sicurezza.
Inoltre, identificando gli individui che con molta probabilità possono
manifestare una reazione avversa ad uno specifico trattamento farmacologico, i
test di farmacogenetica aiutano il medico nella scelta del farmaco e della dose
ottimale per il singolo paziente, evitando un lungo processo di aggiustamento
della terapia e il rischio di tossicità. Analogamente, questi test sono
potenzialmente utili nella selezione dei pazienti che con maggiore probabilità
beneficiano dal punto di vista terapeutico di uno specifico trattamento
farmacologico.
I test di farmacogenetica mettono quindi il medico nelle condizioni di sapere a
priori se un medicinale in particolare sarà tollerato bene dal suo paziente, e
quale dei diversi principi attivi a disposizione per curare una certa patologia
avrà l'effetto migliore su una determinata persona. Attualmente la scelta del
farmaco giusto avviene attraverso una procedura per tentativi ed errori, nel
senso che si comincia con un farmaco e se questo non funziona bene si cambia la
prescrizione fino a trovare il trattamento adatto per quella persona. Una simile
procedura, tuttavia, espone il paziente agli effetti non desiderati. Il ricorso
all’esecuzione di opportuni test genetici mette il medico in condizione di
stabilire immediatamente quale farmaco funzionerà in quel particolare paziente.
Ma sarà altresì possibile evitare farmaci potenzialmente tossici e prescrivere
terapie efficaci più tempestivamente, in altri termini affrontare in modo più
efficace ed economico le malattie. In p ros pettiva, la farmacogenetica punta a
una personalizzazione dei trattamenti, cioè a farmaci o combinazioni di farmaci
che sono efficaci per ciascun paziente, a secondo del suo specifico patrimonio
genetico.
POLIMORFISMI GENETICI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI FARMACI
Il destino dei farmaci nell’organismo (farmacocinetica) e i loro effetti
terapeutici e tossici (farmacodinamica) sono regolati da processi complessi ai
quali partecipano, cooperando, numerose proteine deputate al trasporto e al
metabolismo dei farmaci, o coinvolte nel loro meccanismo di azione, a loro volta
codificate da geni diversi. Nell’uomo si ritiene che la maggioranza dei geni
contenga variazioni casuali della sequenza nucleotidica tra i diversi individui,
sviluppatesi nel corso dell’evoluzione; quando tali variazioni avvengono nella
sequenza codificante o regolatoria possono portare all’inserzione di un
aminoacido diverso a livello di una specifica posizione nella proteina e
conseguentemente a modificazioni della sua funzione o influenzare i meccanismi
di trascrizione e traduzione, modulando quindi i livelli di espressione dei
prodotti genici (mRNA e proteine).
Le variazioni nella sequenza del DNA che sono presenti almeno nell’1% della
popolazione sono definite polimorfismi. Tali polimorfismi genici danno luogo a
enzimi con diversi livelli di attività metabolica o a recettori con diversa
affinità per il farmaco, modificando la risposta farmacologica di un individuo.
Le variazioni genetiche riguardano più spesso un singolo nucleotide e sono
pertanto definite polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), ma possono
interessare anche più nucleotidi o anche ampi tratti di DNA: si tratta ad es. di
sostituzioni, inserzioni, delezioni, amplificazioni e traslocazioni. Esse si
riferiscono a tratti monogenici, cioè a polimorfismi di un singolo gene
codificante una proteina coinvolta nel metabolismo di un farmaco o nel suo
effetto che causano risposte individuali variabili ai farmaci.
NEL PROFILO GENETICO LA RISPOSTA ALLA VARIABILITA'
Un farmaco, quando entra nell’organismo, si distribuisce al suo interno e a
questo punto può essere metabolizzato, attivato, coniugato (cioè legato ad altre
molecole) e infine escreto. Si supponga, per esempio, che un certo farmaco, per
avere effetto, abbia bisogno di essere metabolizzato e poi trasportato, tramite
un recettore, all’interno della cellula. Si supponga inoltre che, semplificando
un processo molto più complesso, metabolismo e trasporto siano controllati solo
da due geni diversi che possono essere polimorfici. In questo caso la
variabilità di risposta sarà determinata dalle diverse interazioni delle
varianti di questi due geni, come rappresentato schematicamente nella figura 2.
Nella prima colonna si osserva l’effetto che il patrimonio genetico del soggetto
ha nel determinare il metabolismo del farmaco e di conseguenza la sua
concentrazione nel plasma, supponendo che per semplicità questa sia controllata
da un unico gene polimorfico. Si avranno così individui con entrambi gli alleli
normali (indicati come wt/wt = wild type, selvatico) che metabolizzano
rapidamente e che hanno una concentrazione media di farmaco nel sangue piuttosto
bassa; individui che hanno un allele mutato e sono quindi eterozigoti (wt/m),
che metabolizzano più lentamente e hanno una concentrazione plasmatica di
farmaco più alta e infine individui che hanno entrambi gli alleli mutati (m/m) e
che hanno concentrazioni elevate di farmaco nel plasma. Si consideri, poi, il
gene polimorfico che controlla il recettore del farmaco (seconda colonna della
figura 2): possono esserci individui omozigoti per il gene normale, che
trasportano il farmaco nella cellula in modo efficace e con rapidità; individui
eterozigoti che hanno una capacità intermedia di trasportare il farmaco nella
cellula e soggetti omozigoti per la mutazione che non hanno il recettore o ne
hanno uno difettoso.
L’efficacia terapeutica del farmaco dipenderà quindi dall’interazione tra i due
geni polimorfici. Dalla figura 2 si osserva che, per esempio, in una persona che
metabolizza velocemente, anche se possiede i recettori funzionanti in modo
ottimale (wt/wt), l’efficacia terapeutica sarà del 75 per cento. Se invece
l’attività del recettore è in qualche modo minore, perché l’individuo è
eterozigote per il recettore (wt/m), allora l’efficacia del farmaco sarà
intermedia perché ne entra meno nella cellula. Infine, se il soggetto è
omozigote per la mutazione nel recettore (m/m), l’efficacia del farmaco sarà
pressoché inesistente. Se si considera come secondo parametro anche la tossicità
del farmaco, quest’ultima dipende, in modo lineare, dalla concentrazione del
principio attivo nel plasma. Nel caso dell’individuo che metabolizza
normalmente, ma che ha recettori non perfettamente funzionanti, l’efficacia
della molecola è bassa, ma la sua concentrazione nel plasma è in ogni caso più
bassa di quella necessaria per produrre una reazione tossica. Diversa è la
situazione per gli altri profili genetici; nel caso intermedio (seconda riga
della figura), essendoci più farmaco nel plasma per più tempo, l’effetto
terapeutico aumenta (85 per cento), ma si sfiora l’effetto tossico (minore del
10 per cento). Infine per l’individuo che non metabolizza il farmaco (terza riga
della figura), la situazione precipita, perché si hanno concentrazioni altissime
di farmaco per molto tempo con il massimo della tossicità (maggiore dell’80 per
cento), pur essendo questa situazione associata alla massima attività
terapeutica (95 per cento). Coloro che poi hanno i recettori che non funzionano
subiscono solo gli effetti tossici.
Il profilo genetico di un individuo, quindi, determina sia le caratteristiche
dei bersagli (target) dei farmaci che delle proteine coinvolte nel processo del
loro assorbimento e metabolismo. La variazione del nucleotide di un singolo gene
può portare alla formazione di una proteina diversa nella struttura e nella
funzione e pertanto ad una modifica della capacità dell’organismo umano di
utilizzare e metabolizzare i farmaci. Soggetti con un particolare genotipo
possono non essere in grado di metabolizzare particolari farmaci e quindi
presentare un maggior rischio di reazioni avverse oppure di interazioni con
altri farmaci. Altri geni sono in grado di determinare una rapida
metabolizzazione di alcuni farmaci, con conseguente loro parziale inefficacia.
Il meccanismo di azione della maggior parte dei farmaci dipende dall'interazione
del farmaco con specifiche proteine bersaglio quali recettori, trasportatori e
vie di trasmissione cellulare. Molti di questi bersagli farmacologici presentano
polimorfismi che possono influenzare la risposta a specifici farmaci. Inoltre i
polimorfismi in vie patologiche note possono predire l'efficacia di uno
specifico farmaco.
Un numero relativamente piccolo di enzimi farmaco-metabolizzanti (DMEs) è
responsabile del metabolismo della maggior parte delle terapie farmacologiche
oggi impiegate nell'uso clinico. Esiste un ristretto numero di polimorfismi
rilevanti nell'ambito di questi enzimi, e molti di loro danno origine ad un
mancato effetto terapeutico o ad un’esagerata risposta clinica al farmaco.
Il polimorfismo genetico negli DMEs dà origine alla formazione di quattro
sottogruppi di individui che hanno diversità apprezzabili nella loro capacità di
metabolizzare i farmaci per ciascun metabolita attivo o inattivo.
A. metabolizzatori poveri o lenti (Poor Metabolizer - PMs): sono persone con
deficienze nel metabolismo (che possiedono quindi una capacità d’attivazione dei
farmaci estremamente ridotta o assente). I PM presentano una mutazione in
entrambi gli alleli del gene (due alleli non attivi).
B. metabolizzatori intermedi (Intermediate Metabolizer - IM) presentano un
allele normale ed uno attivo del gene e possono richiedere, per un’azione
terapeutica ottimale, un dosaggio farmacologico inferiore alla norma.
C. metabolizzatori estesi (Extensive Metabolizer - EMs): sono persone dotate di
un normale metabolismo farmacologico. Di solito presentano due alleli attivi del
gene.
D. ultra metabolizzatori (Ultra-Metabolizer - UMs): sono persone con
un’aumentata espressione dei geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci, a causa
della quale possono richiedere, per un’azione terapeutica ottimale, un dosaggio
farmacologico superiore alla norma. Gli UM presentano tre o più alleli attivi, a
causa di una duplicazione di un allele attivo.
Dosi standard di farmaco con una curva dose-risposta ripida o un range
terapeutico ristretto possono produrre reazioni farmacologiche avverse,
tossicità, o diminuita efficacia nei PMs. Dosi standard di farmaco, quando
assunte da UMs, possono essere incapaci di produrre l'effetto desiderato.
I GENI COINVOLTI NEL METABOLISMO DEI FARMACI
Il sistema enzimatico del citocromo P450 svolge un ruolo centrale nel
metabolismo ossidativo dei farmaci. Questi citocromi sono molto importanti, in
quanto sono responsabili del metabolismo di fase I per molti farmaci di uso
corrente e per alcune sostanze endogene (es. ormoni). Questa classe di enzimi e’
responsabile della maggior parte delle reazioni di ossidazione a livello
epatico. La loro funzione è quella di trasformare diverse sostanze endogene o
esogene; ogni forma di citocromo ha una sua specificità per quanto riguarda la
sostanza da ossidare. I geni che codificano per questi enzimi sono chiamati CYP.
Nell’uomo sono stati identificati 57 CYP che sono suddivisibili in 18 famiglie e
42 sub-famiglie in base alla percentuale di sequenze aminoacidiche identiche.
Polimorfismi sui geni dei citocromi P-450 possono portare alla sintesi di enzimi
con attività diverse, in grado di metabolizzare più o meno velocemente i farmaci
(metabolizzatori lenti-PM; metabolizzatori rapidi - UM), portando ad un loro
accumulo, nel caso di un metabolizzatore lento, oppure alla loro eliminazione
troppo rapida dal circolo sanguigno, nel caso di un metabolizzatore rapido.
Lo studio delle varianti genetiche dei CYP e’ estremamente importante per
valutare correttamente la risposta ai farmaci e la loro tossicità, in quanto
molti prodotti oggi in commercio sono substrati di questi enzimi. Tali varianti
alleliche sono responsabili dell’aumento nella risposta e nella tossicità di
farmaci delle classi più disparate (ad es. anticoagulanti, statine,
immunosoppressori) o della diminuita risposta di profarmaci, come la codeina
(che deve essere metabolizzata a morfina per svolgere la sua azione analgesica)
ed altri oppiacei. Di conseguenza, l’attività analgesica dei farmaci è ridotta o
assente nei metabolizzatori lenti (PM).
Queste variazioni nella farmacocinetica possono causare, effetti secondari
indesiderati. Conoscere a priori quale polimorfismo presenta un paziente è utile
nella scelta del farmaco oppure nel dosaggio dello stesso, in modo da ottenere
il miglior effetto terapeutico, evitando spiacevoli effetti secondari.
Common pharmacogenetic polymorphisms in human drug metabolising enzymes (data
from Weber 19974).
FARMACOGENETICA IN ONCOLOGIA
Il problema della variabilità individuale della risposta ai farmaci è
particolarmente importante nella terapia dei tumori perchè vengono in questo
caso impiegati farmaci caratterizzati da un indice terapeutico particolarmente
ristretto, con variazione minima tra dose efficace e dose tossica.
Molte terapie antitumorali odierne sono in grado di eradicare i tumori, ma di
queste molte hanno una modesta specificità per il tumore rispetto ai tessuti
normali e, così, provocano un danno collaterale alle cellule non cancerogene.
Pertanto, si dice che questi farmaci hanno un ristretto “range terapeutico”, in
cui la proporzione tra la dose che è associata alla efficacia terapeutica e la
dose associata alla tossicità è relativamente piccola.
La probabilità di migliorare l’efficacia aumenta con la dose del farmaco, ma
anche la probabilità di eventi svantaggiosi. Se sarà possibile separare ancora
di più le curve dose-efficacia e dose-tossicità, anche il range terapeutico
potrà essere allargato.
Alterazioni anche limitate nel metabolismo di un chemioterapico antitumorale per
variazioni genetiche possono causare cambiamenti notevoli nell’effetto
farmacologico in termini sia di tossicità che di efficacia. Ciò si verifica
purtroppo frequentemente in quanto la posologia degli agenti antineoplastici
viene stabilita dal medico oncologo in maniera standardizzata sulla base della
superficie corporea del paziente (tenendo ovviamente conto anche degli altri
fattori non genetici di variabilità).
Come per altre patologie, le variazioni nella sequenza del DNA possono
riguardare la struttura di geni che codificano per enzimi del metabolismo e del
trasporto dei farmaci o per proteine impli cate nell’azione dei farmaci,
influenzandone il destino nell’organismo, la tossicità ed anche, come più
recentemente evidenziato, l’efficacia. A questo proposito è importante
sottolineare che non soltanto i polimorfismi del genoma dell’ospite, ma anche
quelli del genoma tumorale possono influenzare la risposta ai farmaci
antineoplastici. I polimorfismi del genoma dell’ospite e del tumore regolano
entrambi il trasporto, la ritenzione e l’efflusso dei farmaci antitumorali,
determinandone il grado di penetrazione nel tessuto tumorale; il genoma del
tumore possiede la maggioranza dei polimorfismi che influenzano l’aggressività
tumorale e la sua farmaco-sensibilità o resistenza (ad esempio mutazioni di p53,
KIT, EGFR, polimorfismi di TS, ecc.); i polimorfismi del genoma dell’ospite
rappresentano i principali determinanti del rischio di tossicità per il paziente
(ad esempio polimorfismi dei geni del metabolismo come tiopurina
metiltransferasi, diidropirimidino deidrogenasi, UDP glucuronosiltransferasi,
ecc), alla quale non contribuiscono invece in modo sostanziale i polimorfismi
del genoma del tumore.
Test farmacogenomici nella terapia del cancro.
L'importanza della farmacogenetica nella terapia antitumorale si estende al
metabolismo dei farmaci e alle variabilità individuali che sono alla base delle
gravi tossicità secondarie alla somministrazione di 5-FU, 6-mercaptopurina,
metotressato, irinotecano, cisplatino ed etoposide che possono essere associate
a polimorfismi genici di diidropirimidina deidrogenasi (DPD), tiopurina
S-metiltransferasi (TPMT), 5,10-metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR),
UDP-glucuronosiltransferasi (UGT), glutatione S-transferasi (GST) ed enzimi del
citocromo P450 (CYP), rispettivamente.
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